Avere un figlio è per molte donne un sogno che si realizza ma, purtroppo, per una donna che lavora o che sta cercando un lavoro può trasformarsi in un “handicap”. Il rischio di subire discriminazioni, demansionamento e, in alcuni casi, addirittura il successivo licenziamento per alcune donne che restano incinta o che hanno in mente di farsi una famiglia è davvero dietro l’angolo. Non è affatto un luogo comune dire che il nostro non è un Paese per mamme lavoratrici e anche il Molise non fa eccezione. E’ questo il caso di Sabine Di Pinto che, anche se dopo anni, ha avuto la soddisfazione di veder riconosciuta l’infondatezza del suo licenziamento sopraggiunto al rientro dalla maternità. Ieri infatti la Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso presentato da una nota azienda tessile di Montenero di Bisaccia, con il quale la società ha chiesto la riforma della sentenza emessa nel 2013 dalla Corte d’Appello di Campobasso – che a sua volta aveva confermato la sentenza di primo grado del Tribunale di Larino – in ordine al licenziamento e al demansionamento di una giovane signora, Sabine DI PINTO. In particolare è accaduto che la lavoratrice, al rientro da un periodo di sospensione del rapporto dovuto a maternità, ha visto il suo posto di lavoro occupato da altre persone e quindi è stata dapprima demansionata e poi licenziata per giusta causa. La stessa ha deciso di rivolgersi alla magistratura trovando conforto in tutti i gradi di giudizio: infatti la condotta datoriale è stata considerata illegittima sia dai giudici di merito (Tribunale di Larino e Corte d’Appello di Campobasso), sia dalla Suprema Corte di Cassazione che proprio ieri ha dichiarato definitivamente infondato il suo licenziamento. Enorme la soddisfazione della signora residente a Montenero di Bisaccia, madre della bambina che oggi è ormai tredicenne: “Ho sempre avuto fiducia nei giudici, anche se ho dovuto attendere 13 anni, cioè l’età di mia figlia, per vedere trionfare finalmente la giustizia”. La dipendente è stata difesa dagli avvocati Pietro D’ADAMO e Marianna SALEMME che in tutti questi anni hanno sempre creduto nella fondatezza delle ragioni della loro assistita.
Il datore di lavoro la ‘caccia’ dopo la maternità, la Cassazione lo punisce
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