Sanità, in Molise liste d’attesa e tempi d’intervento lunghi: ‘screening’ di Cittadinanzattiva

Dai tempi di attesa, all’erogazione dei farmaci, dalla copertura vaccinale alla gestione dell’emergenza urgenza, dai servizi per i malati oncologici agli screening per i tumori, sono ancora troppe le disuguaglianze nell’accesso ai servizi sanitari che incidono sulla salute dei cittadini. Sebbene al Sud si concentrino le regioni con maggiori problematicità negli ambiti indicati, si riscontrano anche eccezioni positive nel Meridione, così come Regioni del Nord che faticano più del passato a mantenere i livelli di performance nell’erogazione dei servizi sanitari ai cittadini. È il caso, ad esempio, della copertura vaccinale per l’infanzia dove, per le vaccinazioni obbligatorie da anni (polio, difterite, tetano e epatite B), le regioni virtuose sono Abruzzo, Molise e Basilicata e ai livelli inferiori troviamo il Friuli Venezia Giulia e la Provincia Autonoma di Bolzano. Questo il quadro che emerge dal Rapporto dell’Osservatorio civico sul federalismo in sanità, edizione 2016, presentato ieri da Cittadinanzattiva-Tribunale per i diritti del malato. “Serve subito un programma di azione per il contrasto alle disuguaglianze in sanità che aggredisca la questione del profondo rosso per il diritto alla salute al sud; per la riduzione delle iniquità che attraversano tutto il nostro paese, nelle regioni benchmark e non, dalle periferie urbane alle aree interne. Serve un piano che abbia obiettivi, azioni, tempi precisi e un sistema di monitoraggio, condiviso tra Stato e Regioni, con il coinvolgimento delle organizzazioni civiche e dei professionisti socio-sanitari”: le dichiarazioni di Tonino Aceti, Coordinatore nazionale del Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva. “L’Italia, infatti, continua ad essere spaccata in due, aumentano le regioni che non sono in grado di rispettare i Livelli essenziali di assistenza, nonostante l’affiancamento dei Ministeri preposti. Aumenta l’incoerenza tra il livello di qualità e accessibilità ai servizi e il livello di tassazione, i piani di rientro hanno prodotto effetti dal punto di vista economico ma in troppi casi non hanno centrato l’obiettivo della riqualificazione dei servizi. È evidente che così le cose non possono più andare avanti, se da una parte si potrebbe pensare ad una eventuale nuova riforma costituzionale che parta dal basso, restituendo centralità all’effettività del diritto alla salute dell’individuo in ogni territorio del Paese in una competizione positiva tra Stato e Regioni, anche se i tempi potrebbero essere lunghi, dall’altra è doveroso capire subito se e cosa si può mettere in campo oggi, a normativa vigente, per intervenire su situazioni di iniquità che esistono nel SSN. In altre parole serve subito un programma di azione”.

Spesa sanitaria, LEA e rinuncia alle cure: le Regioni a confronto
Nel 2015 passano da 3 a 5 le regioni che non rispettano i Lea nonostante l’attuale sistema di affiancamento dei ministeri competenti: al Molise, Calabria e Campania, che versa in condizioni di particolare criticità (da un punteggio di 139 nel 2014 a 106 nel 2015), si aggiungono Puglia (da 162 del 2014 a 155 nel 2015) e Sicilia (da 170 nel 2014 a 153 nel 2015). Anche fra quelle che garantiscono i livelli essenziali di assistenza, le discrepanze sono notevoli: si va da un punteggio di 212 (la soglia di sufficienza è pari a 160) della Toscana ai 170 della Basilicata. In alcune regioni, a Lea e servizi critici corrispondono livelli di tassazione Irpef più alti e le Regioni inadempienti ai Lea, ad eccezione della Calabria, hanno aumentato l’Irpef tra il 2013 e il 2015. Nel 2015 si oscilla tra i 620 € di addizionale Irpef media per contribuente del Lazio ai 460 di Campania e Molise, ai 360 della Toscana, ai 300 del Veneto, sino ai 270 della Basilicata. Rilevante l’aumento dal 2013 al 2015 nel Lazio (470€ / 620€), Piemonte (410€ / 510€), Liguria (360€ / 400€). Piuttosto differente anche la quota di ticket pro capite sostenuta dai cittadini: nel 2016 si passa dai 32,9€ della Sardegna ai 96,4€ della Valle d’Aosta, passando per i 60,8€ del Veneto, secondo i dati della Corte dei conti. Le Regioni con quote procapite di finanziamento del SSR inferiori, con punteggi LEA più critici e con livelli Irpef più elevati, hanno anche una spesa privata procapite più bassa, e un tasso di rinuncia alle cure più alto, in altre parole un’iniquità sotto gli occhi di tutti: infatti la spesa privata della Campania e della Sardegna ammonta rispettivamente a circa 304€ e 354€ annui, contro i 798€ della Valle d’Aosta e i 781€ della Lombardia. Come se non bastasse secondo ISTAT la quota di persone che ha rinunciato ad una visita specialistica negli ultimi 12 mesi è cresciuta tra il 2008 e il 2015 dal 4% al 6,5% della popolazione. Il fenomeno appare più accentuato nel mezzogiorno che passa dal 6,6% nel 2008 al 10,1%.

Liste di attesa in aumento, non solo al Sud. Troppe variabilità sui ticket
Sono in particolare i cittadini di Abruzzo, Basilicata, Campania, Liguria, Marche, Puglia a segnalare, lo scorso anno al Tribunale per i diritti del malato, il problema delle difficoltà di accesso alle prestazioni a causa delle liste d’attesa; ma non mancano anche difficoltà per i cittadini della Toscana, dell’Emilia Romagna e dell’Umbria nonostante abbiano avviato politiche regionali di governo dei tempi d’attesa. Tempi di attesa record. Le attese più lunghe si registrano per la mammografia: 122 giorni nel 2017 (+60 gg rispetto al 2014) ossia quasi 4 mesi in media, passando dagli 89 gg del Nord-Ovest ai 142 gg del Sud ed isole; segue la colonscopia con 93 giorni in media (+6 gg), con punte di 109 gg al Centro e un minimo di 50 gg al Nord-Est; per la visita oculistica si attendono 87 giorni (+18 gg rispetto al 2014) con un minimo di 74 gg al Sud-isole e 104 gg al Nord-Est. Anche dall’ultimo monitoraggio del Ministero della salute (2014), Calabria, Campania, Lazio e Molise risultano inadempienti nell’indicatore relativo alle liste di attesa. Riguardo al disagio economico a causa di spese sanitarie non rimborsate dal SSN, le famiglie delle Sardegna e della Sicilia risultano essere quelle più in difficoltà. All’estremo opposto troviamo quelle di Emilia Romagna e Trentino-Alto Adige dove solo rispettivamente il 2,6% e il 2,1% delle famiglie residenti è in condizioni di disagio economico per spese sanitarie. Ticket e superticket. L’importo del ticket per le prestazioni sanitarie varia di regione in regione. Ad esempio, per una visita specialistica si passa dai 16,5 euro delle Marche ai 29 del Friuli Venezia Giulia, per l’analisi dell’ormone della tiroide (TSH) si passa dai 5,46 della Liguria ai 13,22 della Sardegna. Per quanto riguarda il superticket sulla ricetta, solo Basilicata, Sardegna e Provincia autonoma di Bolzano non lo applicano, 8 Regioni (Abruzzo, Liguria, Lazio, Molise, Campania, Puglia, Calabria, Sicilia) applicano la quota aggiuntiva di 10 euro su ogni ricetta, le restanti applicano misure alternative alla quota fissa.

Emergenza-urgenza: le differenze nelle attese dei mezzi di soccorso
Il tempo ritenuto accettabile per un soccorso efficace degli operatori sanitari è compreso entro i 18 minuti, ma le differenze regionali riscontrate dall’ultimo monitoraggio LEA sono notevoli: punte minime si registrano in Liguria (13 minuti), Lombardia (14 minuti), Lazio (15 minuti), Toscana, Emilia-Romagna, Sicilia, Friuli-Venezia Giulia, Marche e Piemonte. Alcune regioni, invece, fanno registrare intervalli di attesa fuori dal range di normalità: è il caso in particolare della Sardegna (23 minuti), della Calabria e Molise (22 minuti) ma soprattutto della Basilicata (27 minuti). È interessante notare che alcune regioni peggiorano i loro risultati ed in particolare la PA di Bolzano che dai 10 minuti del 2014 passa ai 19 minuti del 2015. Anche rispetto alla presenza di Osservazione Breve Intensiva, requisito essenziale dei Dea di I e II livello si registrano differenze territoriali: l’OBI nei DEA di I livello sono presenti in tutte le strutture del nord monitorate da Cittadinanzattiva e SIMEU, nell’81% dei casi al centro e ne 69% al sud. Nei DEA di II livello invece la situazione cambia: 100% al centro, 78% al nord e 76% al sud. Farmaci: disuguaglianze nell’accesso ai farmaci, anche per i malati oncologici. E sui generici l’Italia viaggia a due velocità. Attraverso il Monitoraggio civico delle strutture oncologiche italiane, realizzato dal Tribunale per i diritti del malato di Cittadinanzattiva nel 2016, nel 42% delle strutture occorrono in media 15 giorni per l’inserimento di farmaci oncologici innovativi nel Prontuario Terapeutico Ospedaliero (PTO). Ci sono poi strutture sanitarie che impiegano dai 2 ai 3 mesi (7%) e fino a 120 giorni, cioè 4 mesi (9%), per inserire farmaci innovativi dopo l’approvazione nazionale. Inoltre, solamente il 52% delle strutture prevede procedure per il sostegno dei costi dei farmaci non passati dal SSN. A livello territoriale, per l’inserimento dei farmaci oncologici nel Prontuario terapeutico ospedaliero si va da un minimo di 1 giorno ad un massimo di 90 giorni al Nord, da un minimo di 3 ad un massimo di 200 giorni al Centro e da un minimo di 7 ad un massimo di 90 giorni al Sud e Isole. Sul fronte dei farmaci equivalenti, si registra un uso più diffuso nella Provincia Autonoma di Trento con il 41,1%, mentre la Basilicata è quella che ne utilizza di meno con il 18,3%. Emilia-Romagna (34,3%), Friuli-Venezia Giulia (33,2%), Liguria (30%), Lombardia (36,8%), Toscana (32,7%) e, Valle d’Aosta (32,2%) presentano dati sovrapponibili. In termini di spesa, invece, rispetto al resto di Italia, chi abita in Emilia Romagna (25,5%), Lombardia (24%), PA di Trento (28,5%), acquista più farmaci equivalenti mentre la spesa più bassa si registra in Calabria (12%), Basilicata (12,3%) Campania e Sicilia (13,4%), Puglia (14,8%) e Molise (14,7%). La media italiana di spesa per i farmaci equivalenti è del 18,8% rispetto al totale della spesa farmaceutica privata.

Sicurezza delle cure e ammodernamento tecnologico, una priorità per tutti
24 miliardi è l’investimento per la messa in sicurezza e ammodernamento strutturale e tecnologico. Queste risorse sono state spese dalla P.a. di Bolzano, Friuli Venezia Giulia e Calabria che hanno destinato il 100% delle risorse agli ospedali, seguiti dalla Campania, P.A. di Trento, Puglia. Nel 2015 però i cittadini continuano a segnalare al Tribunale per i diritti del malato fatiscenza delle strutture (28,1%), scarse condizioni igieniche (30%) e problemi con macchinari e strumenti perché rotti o malfunzionanti (42%). Anche secondo il rapporto 2017 della Corte dei conti, oltre il 30% delle apparecchiature ha un’età superiore ai 10 anni; solo il 30% delle Tac è stato collaudato da meno di 5 anni e questa percentuale scende al 27% nel sud del Paese. Riguardo alle infezioni correlate all’assistenza, è molto difficile reperire dati sia al livello nazionale che regionale; secondo il Rapporto Annuale sulle attività di ricovero ospedaliero (SDO) del Ministero della Salute, pubblicato nel 2015, le infezioni ospedaliere registrate sono in aumento (22.000 nel 2015, quasi 4.000 in più rispetto al 2007) nella maggior parte delle Regioni, ad eccezione di Province autonome di Trento e Bolzano, Friuli Venezia Giulia, Toscana, Abruzzo, Molise, Puglia e Sicilia.

Coperture vaccinali e adesioni agli screening : prevenzione è ancora una cenerentola
Su nessuna vaccinazione dell’infanzia, l’Italia raggiunge in tutte le regioni la copertura raccomandata del 95%. Nemmeno sulle quattro obbligatorie da anni, cioè polio, difterite, tetano ed epatite B, dove comunque le differenze regionali sono notevoli: virtuose Abruzzo, Molise e Basilicata (copertura superiore al 97%), Calabria e Sardegna (copertura superiore al 95%), ai livelli inferiori il Friuli Venezia Giulia (89%) e la P.a. di Bolzano (85%). Per quanto riguarda Morbillo-Parotite-Rosolia la copertura media si attesta all’87%, le regioni con copertura più elevata sono Lombardia (>93%) e Piemonte (>91%); sono ad oltre il 90% Sardegna e Basilicata. I livelli più bassi si registrano nella Provincia Autonoma di Bolzano (>67%) e Molise (73,51%). Sul vaccino antifluenzale per over 65, siamo fermi a poco più del 50% (rispetto al 75% raccomandato): la copertura vaccinale è maggiore in Umbria con il 63,1%; seguono Calabria e Puglia, al di sopra del 57%. Il dato più basso si registra nella Provincia Autonoma di Bolzano 37,3%. Screening oncologici. La Corte dei conti certifica che, ad eccezione di Abruzzo, Molise e Piemonte che raggiungono lo score minimo di 7 nella quota di residenti che hanno aderito ai programmi regionali di screening, le altre Regioni in piano di rientro sono ben al di sotto di questa soglia: Calabria (1), Puglia (2), Campania e Sicilia (3), Lazio (5). Screening mammografico. Nonostante siano aumentati gli inviti recapitati nel 2015, restano disuguaglianze territoriali: l’invito al Nord raggiunge quasi tutte le donne, oltre 9 su 10; al Centro poco meno di 9 su 10 ricevono l’invito; al sud solo 6 donne su 10. Il maggior numero di donne che ha eseguito la mammografia nel periodo 2013–2015, all’interno dei programmi di screening, si registra in Emilia Romagna (78%), seguita dalla Provincia Autonoma di Trento (77%). A distanza di 10 punti percentuali (tra il 69% e il 67%) si collocano: Friuli Venezia Giulia, Lombardia, Umbria, Toscana, Valle d’Aosta, Basilicata. Il numero assoluto più basso di donne che ha eseguito una mammografia (sia all’interno sia all’esterno dei programmi di screening) si registra in Campania (50%), Calabria (51%), Sicilia (51%). La percentuale più alta di donne che ha eseguito mammografie al di fuori dai programmi di screening, tra 27% e 29%, si registra in: Lazio e Puglia (29% entrambe); a seguire Marche (28%) e infine, con il 27%, Liguria e Campania. Il numero assoluto più basso di donne che ha eseguito una mammografia si registra in Campania, Calabria e Sicilia. Screening cervicale. La Valle d’Aosta (77%) si conferma come la Regione con più alto numero di donne che eseguono il test nei programmi di screening. In Campania, Puglia, Abruzzo, Lombardia, Lazio e Liguria vi è la percentuale maggiore di donne che esegue il test al di fuori dei programmi di screening, rispetto a quelle che lo effettuano all’interno dei programmi organizzati e gratuiti. Screening colorettali. Nonostante nel 2015 siano stati inviati mezzo milione in più di inviti, rispetto al 2014, per un totale di circa 5 milioni e trecentocinquantamila persone invitate, l’adesione è diminuita al 43%: in alcune Regioni non solo il livello di adesione agli screening è molto basso, ma addirittura gli esami eseguiti al di fuori dei programmi è superiore rispetto agli screening stessi: è il caso di Calabria (5% screening/6% fuori screening), Puglia (6% screening/7% fuori screening), Abruzzo (14 screening/16 fuori screening). Anche in questo caso, le percentuali più alte di esecuzione del test nei programmi di screening si registra in P.A. Trento (67%), Valle d’Aosta (66%), Emilia Romagna e Lombardia (65%).

Oncologia: servizi e tempi di attesa differenti di regione in regione
Sebbene l’incidenza dei tumori, in particolare di alcuni, sia inferiore al Sud, nelle regioni meridionali e nelle isole il tasso di sopravvivenza a cinque anni dalla diagnosi è inferiore rispetto al Nord (49% vs 52%, mentre al Centro si attesta al 51%). In Italia, le reti oncologiche sono attive solo in 6 regioni (prevalentemente nord) ed inoltre hanno caratteristiche molto difformi tra loro: Piemonte, Lombardia, Toscana, Trentino, Umbria e Veneto. Mancano invece all’appello Abruzzo, Calabria, Basilicata, Marche, Molise e Sardegna. Nelle restanti regioni sono in via di implementazione. Presidi e servizi oncologici. Se consideriamo le strutture con servizio di oncologia medica, si va da valori come quello del Molise con 19,15 per milione di abitanti, a regioni come la Basilicata con 5,20 strutture e la Puglia (4,65 strutture). Per quanto riguarda le strutture con servizio di radioterapia, si va dai numeri della Toscana con 4 servizi per milione di abitanti, Emilia Romagna (3,6), Lombardia (3,2), a quelli esigui di Campania con 1,71 servizi per milione di abitanti, Puglia (1,71) e Basilicata (1,73). Tempi d’attesa. Per quanto riguarda i tempi di attesa per le prestazioni diagnostiche e specialistiche in caso di sospetto diagnostico, i dati del monitoraggio delle strutture oncologiche di Cittadinanzattiva mostrano che al Nord l’80% delle persone in condizione di urgenza accede entro le 72 ore stabilite. Percentuali peggiori sono rilevabili al Centro (72%) e al Sud (77%). Maggiore tempestività per quanto riguarda l’accesso all’intervento chirurgico a seguito di diagnosi oncologica. Al Nord il 100% dei cittadini accede entro 60 giorni, al Centro l’88% e al Sud il 77%. Nota piuttosto dolente appare essere l’accesso alla radioterapia e alla chemioterapia che, soprattutto al Centro e al Sud, non viene garantita entro 30 giorni nel 100% delle strutture ma solo rispettivamente nell’84% e nel 86%.

Programma di azione per il contrasto alle disuguaglianze in sanità
1) Attuazione, non solo recepimento formale, di provvedimenti (leggi, decreti, ed in particolare accordi stato regioni) approvati. In particolare è necessario aumentare la capacità di monitoraggio e verifica del Ministero della Salute nei confronti delle regioni e di applicare gli strumenti di intervento, come il commissariamento, nei casi di inadempienza, come previsto dall’art. 120 Costituzione.
2) Rafforzare, innovandolo, l’attuale sistema di monitoraggio dei Lea attraverso:
– la partecipazione di rappresentanti di cittadini, elemento di terzietà, nella Commissione nazionale per l’aggiornamento dei LEA;
– l’aggiornamento degli indicatori inserendo questioni prioritarie per i cittadini.
3) Rivedere lo ‘strumento’ dei piani di rientro: dalla verifica quasi esclusiva sui conti, al rafforzamento della garanzia dei servizi.
4) Ridurre e intervenire sulle attuali differenze di performance degli apparati amministrativi regionali e aziendali.
5) Eliminare le duplicazioni di centri decisionali, responsabilità e funzioni tra i diversi livelli (centrale, regionale e aziendale), come accade nell’ambito dell’assistenza farmaceutica.
6) Lavorare alla revisione delle norme sui ticket abolendo innanzitutto il superticket, tassa iniqua che ha alimentato le disuguaglianze e aumentato i costi delle prestazioni sanitarie, costringendo le persone a rinunciare alle cure, pur avendone bisogno.

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