Il giornalista molisano Domenico Iannacone ospite d’onore alla sede Rai di Napoli in occasione del corso di formazione continua ODG svolto questa mattina, sabato 3 febbraio, ed organizzato dall’ordine regionale della Campania. Tema dell’incontro le “Periferie dell’informazione e le periferie delle città nella deontologia professionale”. Oltre al giornalista nativo di Torella del Sannio si sono susseguiti al tavolo dei relatori il presidente ODG Campania, Ottavio Lucarelli, il presidente UCSI Giuseppe Blasi, il cardinale Crescenzo Sepe e Padre Francesco Ochetta di Civiltà Cattolica. “La periferia è una condizione culturale – le parole di Padre Ochetta – oltre ad essere una direzione verso cui rivolgere la propria attenzione, uscendo in tal modo da una forma di informazione centralizzata e puntando ad una capillarizzazione del giornalismo. La nostra professione è, inoltre, un potente contributo alla memoria storica comune, utile a guardare ad un futuro diverso per mezzo di uomini che, in tal senso, dovrebbero maturare una più aumentata morale capace di ricostruire e di ripartire proprio dalle periferie che si strutturano, in quest’ottica, sulle logiche del centro. Se prendiamo ad esempio la situazione del napoletano, i racconti delle periferie vertono troppo spesso sulla morte, anche se occorrerebbe più giustamente parlare della vita dopo la morte. Di quella vita che sconfigge la morte. Il giornalismo attuale è troppo concentrato sul profitto, sulla S di Soldi garantita da fatti che vertono su altre S: Sesso, Sangue, Spettacolo, Scandalo. Siamo abituati al giornalismo delle cinque W (what, when, where, who, why) tralasciando però quel sentore umano che scaturirebbe dall’applicazione di una nuova regola del giornalismo: quella delle cinque C, ovvero studio e analisi del Contesto; attenzione alla Conversazione con i propri interlocutori; Cura delle relazioni; sentirsi e far sentire parte di una Comunità; incrementare la Collaborazione sulla logica di un giornalismo partecipativo e partecipato”. “Abbiamo il dovere di riprenderci gli spazi emotivi del racconto – l’intervento di Iannacone – in modo da lasciare un segno attraverso ciò che raccontiamo, altrimenti rischieremo di avere un giornalismo vuoto, fatto di storie morte. Nel fare il nostro lavoro dovremmo guardare e narrare di quegli spazi inesplorati per renderli noti e conosciuti a tutti. Il giornalismo (e il giornalista) deve guardare dove non guardano gli altri, per far sviluppare al meglio il pensiero critico, proprio e dei lettori. Il giornalista deve guardare negli occhi i propri interlocutori, deve avere il giusto tempo per fare la giusta domanda. il giusto tempo e i giusti spazi per raccontare un fatto. Cose che ormai fin troppo spesso non sono concesse da quelle scelte editoriali che puntano maggiormente ad una forma errata di giornalismo d’assalto, mirando a evidenziare un rapporto non paritetico tra chi chiede e chi (non) risponde, con chi sfugge all’intervistatore e che gli chiude la porta in faccia. Il più delle volte in questi casi non c’è informazione ma solo una versione plateale di un mero show. Nell’informazione c’è fin troppo vuoto solo perchè non si entra in sintonia con le persone, perchè non si osserva e ascolta bene, perchè non si attraversa quella realtà con onestà, perchè non si è partecipi di quella realtà che diventa periferica proprio perchè non la sappiamo cogliere”.