Riceviamo e pubblichiamo il messaggio del sindaco di Campobasso Antonio Battista in occasione del Giorno del Ricordo in memoria delle vittime delle Foibe.
“Ci sono voluti sessant’anni prima che venisse riconosciuto e istituito il Giorno del Ricordo. C’è voluta una legge dello Stato affinché l’orrore delle Foibe non restasse seppellito sotto la coltre dell’indifferenza, dell’oblio, del ‘non conosco’ e del ‘non so se veramente esistite’. Un massacro per decenni avvolto nel silenzio più cupo come se una simile tragedia potesse restare all’infinito nell’ombra con l’avvallo di una politica complice. Sessanta lunghi anni per restituire un briciolo di dignità a migliaia di persone che in quelle profonde cavità carsiche sono state brutalmente uccise. La Seconda Guerra Mondiale è finita: l’Italia viene affrancata dall’occupazione Nazista, ma a Trieste, nell’Istria e nella Dalmazia si inizia a scrivere una pagina nera, che passa sotto il nome di ‘liberazione’. Uno scempio, un dramma, un’orripilante carneficina. Uomini, donne e bambini legati, fucilati e buttati, molti di loro ancora vivi, nelle abissali cavità di quella striscia di terra diventata un grande cimitero, un enorme groviglio di fosse comuni. La loro unica colpa era quella di essere italiani. Tante storie, tante vite, tanti racconti che si incrociano in un labirinto ripugnante che oggi ricordiamo nel tentativo di cancellare gli anni di oblio, o addirittura di censura, che questo massacro ha subito fino a qualche decennio fa. Un incubo che nessuno degli scampati ‘osava’ raccontare per paura di non essere creduto. Per fortuna, dopo anni di sensibilizzazione, la verità è venuta a galla, ma non basta. Tocca a noi, ad ogni cittadino italiano, con senso di responsabilità, evitare che quella memoria vada smarrita, fare in modo che quelle persone sopravvissute siano rispettate, che quelle migliaia e migliaia di vittime possano quantomeno continuare a vivere nella nostra memoria collettiva come se potessimo tirarle fuori dalle voragini carsiche. A quelle donne, a quegli uomini, a quelle intere famiglie distrutte dalla cieca ferocia, l’amministrazione comunale di Campobasso intitola oggi, 10 febbraio 2018, un largo nell’area di via Crispi. Un gesto profondamente voluto, coralmente desiderato, ma anche dovuto perché credo che in ogni città, oltre alle grandi figure storiche e ai personaggi che hanno lasciato un segno all’umanità, serva anche ricordare gli anni bui che fanno parte della nostra storia. Così come abbiamo già fatto per la Shoah intitolando un parco alle vittime dell’olocausto nel quartiere Cep, come è stato deciso tanti anni fa con i Martiri della resistenza, con i Caduti del tiro a segno, o solo qualche mese fa con il Parco che celebra la Giornata internazionale contro la violenza sulle donne, o come faremo presto dedicando uno spazio a Falcone e Borsellino. Un impegno che deve essere anche un ricorso al nostro sentirci parte di una comunità, alla voglia di ribellarci a pagine di storia ingombranti, alla necessità di comprendere tutta la negatività di errori che non vanno più ripetuti. Quelle targhe che noi attacchiamo sui muri devono rappresentare la risposta alla nostra crescita, al nostro progredire, al guardare avanti con lo spirito di chi la lezione l’ha capita, di chi il messaggio lo ha chiaro in mente. Eppure non saranno mai tante o mai troppe le targhe al ‘ricordo’ se, nel 2018, si parla ancora di pulizia etnica, di distinzione di razza, se si guarda all’immigrazione come ad un male da debellare, se la percezione del diverso dà ancora quel senso di repulsione che nulla ha a che vedere con la modernità di uno stato sociale, con la solidarietà solo sbandierata dai capi di stato che sono poi pronti ad alzare barriere, a far scendere in piazza chi si oppone all’accoglienza, a far diventare la xenofobia tema da campagna elettorale. Chiaramente ognuno può scegliere di professare e manifestare le proprie idee come, dove e meglio crede, ma ci sono dei limiti che non vanno oltrepassati perché alzare cortine di filo spinato per vietare l’accesso del diverso da noi non risolve i problemi dei migranti come non li risolve il voler rispedire indietro i barconi carichi di voci di speranza che approdano sulle sponde italiane. Occorre invece trovare soluzioni, occorre dare risposte, concepire politiche internazionali che non siano cieche e ottuse, bensì lungimiranti, che si basino sul rispetto del prossimo: politiche di dialogo, di confronto che portino ad una crescita e non ad un arretramento culturale. Serve una trasparenza ed un’onestà intellettuale e morale che ci facciano guardare in faccia alla realtà, ad un domani solidale, di uguaglianza tra popoli. Ad un domani di pace“.