In un paesino della Sicilia dove non succede apparentemente mai niente gli unici eventi che rompono la routine della Caserma locale, dove si mischiano diversi accenti del Centro-Sud italiano, sono i presunti furti subiti da una donna del posto, tale Parerella, che in realtà si dimostra una signora distratta che dimentica i suoi effetti personali in giro e che quotidianamente si reca dai Carabinieri per presentare denuncia forse anche in cerca di compagnia. Il Maresciallo, il Brigadiere e tre Appuntati sono i principali protagonisti della commedia in due atti ‘Minchia signor tenente’ di Antonio Grosso, messa in scena dalla Bottega dell’Attore con la regia di Rossella Menotti (adattata insieme a Giovanni Mazzuto, con la collaborazione di Giuseppe Garzone e Chiara Brunale) nella serata di ieri al Teatro Savoia di Campobasso, gremito per l’occasione. Un racconto divertente e a tratti serio, destinato a parlare in forma leggera della mafia, dell’omertà e, se si vuole, delle contraddizioni dello Stato rispetto a tali temi. In particolare i fari sono puntati sul 1992, su quel 23 maggio passato alle cronache come strage di Capaci, quando Cosa Nostra uccise il giudice Giovanni Falcone, la moglie e gli uomini della scorta attraverso una bomba fatta esplodere lungo l’autostrada A29. Gli eventi, infatti, si svolgono prima della tragedia. A sconvolgere la tranquillità della Caserma l’arrivo di un tenente, che sostiene di essere stato inviato per una missione segreta, la cattura di un presunto latitante. L’intransigenza del Tenente mette a nudo i timori e le fragilità dei protagonisti, che sotto la divisa dimostrano di avere un grande cuore. Risate e applausi sono assicurati quando uno dei militari, promesso sposo della fornaia del paesino, deve nascondere la sua relazione che viola il codice interno circa il divieto di rapporti sentimentali con donne del posto, così come quando il Maresciallo deve inventare scuse col Tenente, combattuto fra una promessa di promozione e la volontà di difendere il collega in nome dell’amicizia. L’umorismo è spezzato da monologhi seri che parlano di mafia e omertà, di Cosa Nostra come grande famiglia, minacciata – in quel periodo storico – da giudici antimafia come Falcone. Viene citato un passaggio de “Il giorno della civetta” di Leonardo Sciascia. E ci sono i dialoghi al telefono fra due sconosciuti che anticipano la strage di Capaci, dove nella tragicommedia muoiono anche due dei Carabinieri protagonisti, scelti dal Tenente come scorta. “Minchia signor tenente” è proprio la frase che chiude l’ultima scena, pronunciata dal Brigadiere di fronte alla poca sensibilità del suo superiore che invece di piangere i colleghi pensa all’onore della divisa. L’omonima canzone di Giorgio Faletti, interpretata da Giovanni Mazzuto, uno degli attori, conclude lo spettacolo, che ottiene il plauso degli spettatori e viene elogiato dal presidente regionale di Libera contro le Mafie, Franco Novelli, associazione con cui la Bottega dell’Attore ha collaborato nelle scuole.