Le scosse di terremoto in Molise continuano a susseguirsi, avvertite principalmente dagli abitanti dei paesi prossimi all’epicentro, Montecilfone in testa. Si tratta di scosse lievi ma la popolazione teme di rivivere eventi più intensi, visto che già ieri il sisma di magnitudo 5.1 ha fatto seguito a quello di martedì di magnitudo inferiore (4.6) e che a sua volta è stato seguito da numerose scosse di bassa intensità, “intervallate” da due di magnitudo 3.5 e 4.4. Questo andamento imprecisato non solo crea maggiore incertezza sui prossimi giorni ma fa nascere la curiosità su cosa sta succedendo in quest’area del Molise. Abbiamo perciò chiesto delucidazioni al sismologo dell’Ingv Alessandro Amato. Partiamo dalle cause di questi terremoti, a cosa fanno riferimento questi movimenti della crosta terrestre?
“I dati a disposizione al momento ci forniscono delle informazioni parziali. Parliamo di una faglia con movimenti di tipo trascorrente, ossia due blocchi paralleli che scorrono orizzontalmente divisi da una faglia verticale. Un meccanismo simile a quello del terremoto del 2002, seppure l’area interessata si trovi ad una ventina di chilometri più a Nord rispetto ad allora“.
Ci sono differenze quindi con quanto avviene lungo la dorsale appenninica?
“Le faglie appenniniche, quelle che hanno generato i terremoti dell’Irpinia o di Norcia, per intenderci, sono caratterizzate da movimento diretto (si parla di faglie dirette o normali) in quanto una parte scivola lungo il piano di faglia abbassandosi rispetto all’altra. L’Appennino tende ad allargarsi, con un allargamento della penisola stimato dai dati satellite fra i 3 e i 5 millimetri all’anno. Nel caso dei terremoti di questi giorni in Molise, come per quelli del 2002, stiamo probabilmente assistendo a un fenomeno di frammentazione della placca adriatica (all’interno della quale avvengono i terremoti in questione). Questa microplacca agisce come un blocco rigido ma probabilmente è costituita da blocchi che si muovono con velocità differenti e questo potrebbe generare questo tipo di terremoti”.
Quale dei due tipi è potenzialmente più pericolosa?
“Storicamente i terremoti della zona appenninica hanno fatto registrare, nelle loro manifestazioni più violente, una magnitudo fino a oltre 7, interessando segmenti di faglia di 40-50 km. Nel nostro caso, invece, parliamo di una faglia più piccola, che non arriva a interessare la superficie ma rimane confinata al di sotto dei 10 km di profondità. È anche vero, però, che abbiamo meno informazioni su questo tipo di faglie e che guardando al passato, ad esempio, nel 1627 si verificò un violento terremoto stimato di magnitudo 7 nella zona della Capitanata in Puglia, secondo alcune ricostruzioni dovuto a un movimento di tipo trascorrente“.
Qual è la situazione attuale?
“Abbiamo registrato oltre un centinaio di scosse nell’area dell’epicentro negli ultimi tre giorni. Sul posto abbiamo inviato una squadra dell’Ingv con strumentazione di precisione che avrà il compito di rilevare i prossimi eventi e acquisire maggiori informazioni per studiare questa faglia“.
Come mai ad una scossa forte, quella di martedì sera per intenderci, non sono seguite solo scosse minori, bensì l’andamento è stato eterogeneo, con eventi altrettanto forti se non maggiori, com’è stato per la scossa delle 20.20 di ieri sera?
“Non è il classico caso di sequenza tipo ‘main shock-after shocks’, ossia che ad un forte sprigionamento di energia seguono delle cosiddette scosse di assestamento. In questo caso parliamo di sciame sismico, cosa che è meno frequente, e di conseguenza è meno prevedibile l’intensità delle scosse successive. Purtroppo le statistiche ci aiutano poco”.
È probabile quindi che possa verificarsi una nuova scossa importante nelle prossime ore?
“Sicuramente avremo altri terremoti più piccoli. L’ipotesi di un’altra scossa importante è meno probabile ma purtroppo non si può escludere”.
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