“Perdona il mio gesto indegno e brutale e perdona me che lo fatto“. Parte dal Molise il lungo mea culpa scritto in una lettera indirizzata a Lucia Annibali, la 42enne di Urbino – avvocatessa e parlamentare – che il 16 aprile 2013 venne sfregiata in volto con un getto di acido mentre stava per aprire la porta di casa sua, a Pesaro. Autore di quel “gesto indegno e brutale” fu Rubin Talaban, detto Ago, albanese 37enne, assoldato dall’ex fidanzato di Lucia, Luca Varani, e attualmente recluso presso la casa circondariale di Larino. L’uomo sta scontando una pena definitiva di 12 anni di carcere, a cui è stato condannato anche il complice, l’albanese Altistin Precetaj, che fece da palo nell’agguato, mentre Varani è stato condannato a 20 anni. “Ho provato ad essere nei tuoi panni e non posso stare più di qualche secondo nei momenti di dolore e di sofferenza causati da me“, continua la lettera. Una confessione postuma, l’ammissione di un uomo che mai, in tre gradi di giudizio e sei anni di carcere, aveva detto una sola parola per ammettere la sua colpevolezza. “Che io sia maledetto per sempre(…) Vorrei abbracciarti e stringere le tue mani con le mie. Puoi essere la mia guida anche se il peccato lo porterò a vita (…) Non posso fare l’indifferente come se non c’è stato niente (…) Allungami la mano, Lucia, perché non sono un mostro ma un grande errore. Se mi perdoni mi aiuti“. In un articolo del Corriere.it Lucia Annibali commenta la lettera, ricordando il momento in cui venne aggredita e la sua vita cambiò per sempre. Stava per aprire la porta di casa sua quando la sagoma scura di un uomo la spalancò dall’interno. Era Rubin Talaban. “L’ho visto prendere la mira e tirarmi il liquido in faccia, dal basso verso l’alto, da destra verso sinistra”. Ci sono voluti una ventina di interventi chirurgici per ricostruire il suo viso attuale ma il grosso è stato anche e soprattutto il lavoro psicologico. “Se quello che scrive è la sincera verità, se davvero oggi è consapevole di quello che ha fatto e non è più la sagoma scura che ho visto dentro casa mia, io lo posso anche perdonare. Ma quel perdono serve più a lui che a me. Deve fare i conti con quel che ha fatto come io convivo ogni giorno con quello che mi ha fatto, perdono o non perdono. Se tutto questo non è una carta da giocare per avere permessi o chiedere misure alternative, meglio per lui e per il suo futuro. Ma io dico anche meglio per tutti noi, perché ogni detenuto recuperato è una garanzia di sicurezza per la società intera“.
“Lucia, perdonami”: dal Molise la lettera dell’uomo che sfregiò la Annibali con l’acido
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