Le malattie cardiovascolari restano il killer numero uno in Europa. Circa un decesso su due avviene per queste malattie che sono la causa del 40% delle morti tra gli uomini e del 50% tra le donne, le quali contrariamente a quanto si pensa sono colpite da patologie cardiovascolari più degli uomini. Oltre i 65 anni lo scompenso cardiaco rappresenta la prima causa di ricovero in ospedale; anche per questo è considerato un problema di salute pubblica di enorme rilievo. I maggiori esperti del settore si sono confrontati alla Fondazione “Giovanni Paolo II” sulle nuove possibilità terapeutiche per questa patologia. “Ringrazio tutti gli intervenuti e in particolare gli illustri relatori che ci onorano della loro presenza”, ha dichiarato Mario Zappia, Direttore Generale, nell’introdurre i lavori. “Siamo molto impegnati sul tema dell’aggiornamento continuo del personale, con l’obiettivo di offrire ai nostri pazienti cure sempre più efficaci”. A soffrire di scompenso cardiaco in Italia sono circa 600.000 persone e si stima che la sua frequenza raddoppi a ogni decade di età (dopo i 65 anni arriva al 10% circa). “Sebbene tanta strada si sia fatta nei decenni passati nella prevenzione”, ha spiegato Filippo Crea, Direttore del Dipartimento di “Scienze cardiovascolari e toraciche” del Policlinico Gemelli di Roma, “le malattie cardiovascolari continuano a uccidere, anche se è mutato il loro volto: oggi si muore meno di infarto acuto (la mortalità per infarto si è ridotta dal 50 al 10% negli ultimi 50 anni) ma di più per scompenso cardiaco, che è una frequente conseguenza dell’infarto dopo la fase acuta. Quando si è affetti da questa patologia il cuore non riesce a far fronte alla sua attività e quindi l’organismo ne risente. Da una parte lo scompenso dà stanchezza, dall’altra può dare affanno. Le cause che portano allo scompenso – ha continuato il cardiologo – sono un po’ tutte le malattie cardiache: le malattie valvolari, le malattie delle coronarie, le aritmie, le malattie del muscolo cardiaco. Quindi il modo migliore per prevenirlo è curare tempestivamente tutte quelle malattie che possono, in ultima analisi, portare allo scompenso cardiaco”. E’ dunque una condizione legata all’allungamento della vita media e la sua prevalenza aumenta di anno in anno a causa dell’invecchiamento generale della popolazione dovuto all’aumento della sopravvivenza e al miglioramento del trattamento dell’infarto del miocardio e delle malattie croniche (diabete, ipertensione ecc.). Per le malattie cardiovascolari la chirurgia, in molti casi, rappresenta una concreta possibilità di salvezza: “Oggi siamo in grado di offrire ai nostri pazienti le tecniche cardiochirurgiche più avanzate, in particolare la chirurgia mininvasiva di routine, grazie alla presenza di una sala operatoria ibrida di ultima generazione che permette di realizzare procedure tecnologiche avanzate in totale sicurezza per il paziente”, spiega Massimo Massetti, Direttore dell’area Cardiovascolare del Gemelli. “Ci basiamo sul concetto del “paziente al centro”, dove tutte le competenze dell’Area Cardiovascolare lavorano in sinergia analizzando la patologia e le differenti problematiche del paziente e decidendo poi insieme il percorso terapeutico più idoneo. Questo è possibile grazie al nostro “Heart Team”, un’equipe multidisciplinare composta da tutte le figure professionali necessarie per curare il cuore, dai cardiologi ai cardiochirurghi fino agli anestesisti e agli psicologi. Il gruppo si riunisce ogni giorno per un’ora, analizza tutti i casi e sceglie come procedere. Un approccio che ha portato molti benefici in termini di risultati clinici e di soddisfazione dei pazienti e delle loro famiglie”. Non solo le novità terapeutiche possono rappresentare una sfida per le medicina. E’ importante l’aggiornamento continuo anche per gestire gli sviluppi della ricerca. Oggi è necessario superare il concetto di farmaco destinato a curare una patologia, per passare a terapie in grado di agire in modo personalizzato, su singoli pazienti. “Gli studi scientifici possono offrire un supporto alla decisione clinica che è sempre congiunta tra medico e paziente”, spiega Vincenzo Valentini, Direttore Scientifico della Fondazione Giovanni Paolo II. “E’ necessario identificare l’iter terapeutico più efficace, ottimizzando i risultati clinici secondo i più moderni paradigmi della medicina personalizzata”. A conclusione dei lavori, la presidenza del congresso ha rivolto un particolare ringraziamento a Eugenio Caradonna, co–promotore dell’evento e ai componenti del Comitato scientifico: Cosimo Sacra, Direttore dell’UOC di Cardiologia della Fondazione, Carlo Maria De Filippo, Direttore del Dipartimento di Malattie Cardiovascolari, Emilio Vanoli, docente dell’Università di Pavia.