Pozzi petroliferi e terreno contaminato, il Molise come la Basilicata. L’inchiesta di un’associazione lucana

La vicenda dei pozzi petroliferi e dei terreni contaminati in contrada Capoiaccio, a Cercemaggiore, continua a far parlare di sè e lo fa soprattutto attraverso i numeri e le tante domande a cui si cerca di dare o di cui si attende ancora una risposta. L’associazione lucana di volontariato “COVA Contro”, che si occupa di analisi ambientali, informazione e contrasto alle ecomafie per lo più nel proprio territorio, si è recata in Molise per verificare con la strumentazione a disposizione quanto emerso nelle inchieste finite all’attenzione delle istituzioni locali e descritte in testi come “Capoiaccio Anno Zero” di Salvatore Ciocca e Lucia Sammartino. Alcuni rifiuti petroliferi lucani decenni fa presero infatti la via del Molise, destinazione Capoiaccio, dove la Montedison almeno dalla seconda metà degli anni Sessanta in poi reiniettava sottoterra gli scarti dell’estrazione.

L’inchiesta ha permesso di rilevare valori preoccupanti a ridosso della recinzione di diverse centinaia di metri che ha isolato l’area contaminata e con affissi i cartelli di “Pericolo contaminazione radioattiva”. All’altezza della potenziale linea di scolo delle acque, i valori registrati sono risultati stabili a 0,300 microSv/h (microsievert, unità di misura degli effetti e del danno provocato dalla radiazione su un organismo, per ettaro) con punte anche di 0,346, il triplo rispetto a quanto rilevato a bordo strada. Ufficialmente – scrive l’associazione sul sito Punto eBasta – la contaminazione radioattiva sarebbe causata da radionuclidi naturali (torio 232 e piombo 212) notoriamente presenti nelle acque di scarto petrolifere ma anche emettitori gamma, quindi le radiazioni più perforanti. Analisi di Ispra e Arpa sono state superficiali secondo l’associazione, così come sono state carenti le prescrizioni per contenere la contaminazione.

Non c’è una motivazione tecnica che indica l’estensione della recinzione, mancano le precauzioni per chi vive o coltiva nella zona, pur se all’esterno dell’area delineata, e delle operazioni di bonifica ancora non c’è traccia. Una storia coperta da una colata di cemento, senza che si è potuto ben capire cosa sia finito sotto terra, mentre in superficie tutto è sparito con la dismissione del sito. “Il problema di Cercemaggiore è anche quello della Basilicata – conclude l’associazione, – vale a dire il mancato controllo sui flussi dei rifiuti industriali ed il pessimo contrasto alla loro pericolosità“. E ancora: “In Basilicata a fronte di problematiche analoghe finanche presso un sito nucleare come la Trisaia, non esista un solo cartello che avverta il pubblico del pericolo nucleare, ultimo caso il centro di decontaminazione dell’ospedale di Policoro, ove sono stati ben attenti a non inserire in cartellonistica il simbolo della radioattività“.

(immagini da analizebasilicata.altervista.org)

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