Venerdì 6 dicembre 1907, ore 10.30: l’esplosione fu spaventosa, si propagò per centinaia di metri sottoterra, mentre il boato si sentì a trenta chilometri di distanza. C’erano forse mille persone, sopravvissero in cinque, per tutti gli altri la miniera si trasformò in una tomba. A Monongah, un manipolo di baracche tra i boschi dei monti Appalachi, abitavano tremila persone: tranne le donne, lavoravano tutti nella miniera della Fairmont Coal Company. Estraevano carbone e ardesia. Il più grande disastro minerario della storia americana. E di quella italiana. 171 dei morti riconosciuti, infatti, erano emigrati dall’Italia. Ben 87 venivano dal Molise, gli altri dalla Calabria, dall’Abruzzo e dalla Campania. I numeri sono buttati lì, perché i tanti bambini impiegati non venivano registrati. Ricevevano una mancia legata alla quantità di carbone che riuscivano a portavano in superficie. Ogni uomo regolarmente assunto e con il “bottone di ottone”, che riportava la sua matricola, appuntato sul petto, guadagnavano 10 centesimi l’ora e portava con sè almeno due aiutanti, per lo più bambini o adolescenti. Si inoltravano nelle viscere della terra, esposti alle esalazioni venefiche, ma la loro discesa all’inferno non era registrata da nessuna parte. Pochissimi furono riconosciuti. E venerdì 6 dicembre 2019, alle 10.30, si aprirà con un minuto di silenzio, in ricordo di quelle vittime costrette a lasciare la terra natia, la casa, gli affetti, tutto il loro mondo, alla ricerca di una vita migliore, l’evento dal titolo: “MONONGAH: per non dimenticare, che si svolgerà a Frosolone, presso l’Istituto comprensivo “G.A. Colozza” in corso Vittorio Emanuele III n. 70, organizzato dall’Associazione Monongah, Filitalia International Chapter Bojano, quotidiano internazionale Un Mondo d’Italiani del Centro Studi Agorà Molise Noblesse, CTIM Comitato Tricolore per gli Italiani nel Mondo, Istituto Comprensivo Colozza, Comune di Frosolone, Regione Molise, con il contributo grafico di Core Graphic di Eliana Cappussi. Perché oggi, che siamo terra di accoglienza e di fuga di cervelli, una riflessione è d’obbligo su quella che è la nostra storia. Il programma prevede i saluti istituzionali da parte del Sindaco di Frosolone, Felice Ianiro, della Dirigente scolastica, Maria Teresa Imparato, V. presidente Consiglio Regionale del Molise, Gianluca Cefaratti. Interverranno: Gianni Meffe, Presidente dell’Associazione Monongah; Mina Cappussi, Presidente Filitalia International Chapter Bojano – Ceo Molise Noblesse – Movimento per la Grande Bellezza; Giulio de Jorio Frisari, dell’Istituto Italiano Studi Filosofici, che chiuderà i lavori con una riflessione dal titolo “Le parole per il silenzio, il silenzio per la memoria”. L’Animazione musicale è affidata ai ragazzi della Redazione UMDI Un Mondo d’Italiani e del Servizio Civile progetto Turchese, che ricorderanno la diaspora delle grandi ondate migratorie italiane con le emozioni di “Here’s to you”, composta nel 1971 dal grande Ennio Morricone, testo di Joan Baez, sulla vicenda di Ferdinando Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, italiani emigrati negli Stati Uniti, condannati alla sedia elettrica il 23 agosto 1927 a Charlestown, con accuse pretestuose, per il solo fatto di essere italiani, riabilitati nel 1977 dal governatore del Massachusetts. L’attualità dell’approfondimento si inserisce nella contestuale riflessione sulle migrazioni che vede oggi l’Italia da terra di emigrazione a nazione di accoglienza. Frosolone è uno dei comuni molisani, assieme a Duronia, Roccamandolfi, Bagnoli del Trigno, Torella del Sannio, Vastogirardi, che ha registrato maggiori vittime tra i cittadini emigrati e periti a Monongah. Le 171 vittime “ufficiali” italiane erano immigrati da località molisane (un centinaio), calabresi (una quarantina) e abruzzesi (una trentina). All’epoca gli Italiani – e in particolare i meridionali – erano considerati quasi come la gente di colore, oggetto di rappresaglie razziste e di una opinione pubblica ostile. Di strada ne abbiamo fatta tanta, ma molto ancora è da fare sul fronte della integrazione. Anche per questo è fondamentale conservare la memoria di quello che è stato. Lo dobbiamo a chi ha perso la vita per un sogno, a coloro che hanno consentito all’Italia di rinascere, e alle nuove generazioni, affinché non dimentichino.
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