I primi sintomi, la febbre, la difficoltà a respirare e a camminare. La paura di non farcela. La voglia di sentirsi meglio quando la via d’uscita è ancora troppo lontana. Da questo male, quando riesce a farsi strada nel corpo e a causare danni, sembra che non si guarisca mai. E in effetti è così. Perché – a patto che si sopravviva – certe cicatrici, anche se non si possono vedere, lasciano dei segni profondi nella mente e nello stato d’animo. Qualcuno in tempi non sospetti diceva che era una semplice influenza. Rosanna (in foto), campobassana, sorride amaramente a questa affermazione dopo un mese e mezzo passato in un letto dell’ospedale Cardarelli, con un ventilatore collegato alle vie respiratorie. Il virus che l’ha fatta piombare all’inferno ha scelto lei probabilmente sul posto di lavoro, in un ufficio postale della città. Quando è stata dimessa, clinicamente guarita con la prova del doppio tampone negativo, ha riniziato a vivere. La sua famiglia l’ha accolta con una torta di “bentornata a casa”. E’ stata una bella emozione che l’ha ricollegata al mondo esterno. Rosanna, innanzitutto come stai?
“Sicuramente meglio rispetto alla fase più acuta della malattia. Ma ho ancora difficoltà a livello polmonare. Sembra di avere sempre il fiato corto. Il mio organismo si sta ancora riabilitando. Ecco perché, nonostante sia guarita, devo ancora restare a casa“.
Quando ti sei accorta che c’era qualcosa che non andava?
“E’ stato un giorno di marzo quando manifestai i primi problemi alle vie respiratorie. Avevo qualche decimo di febbre e il medico mi diagnosticò un principio di bronchite, quindi restai a casa e iniziai un trattamento a base di antibiotici. Il problema è che avvertivo un senso di affanno quando respiravo e costipazione al petto. Provavo disturbo. I giorni passavano e i problemi restavano. Fare una lastra in quel periodo era impossibile e passai al trattamento tramite punture. Arrivai però al punto di avvertire una forte debolezza. Non riuscivo neanche ad alzarmi dal letto. Ricordo che il giorno prima di essere ricoverata ebbi l’impressione di avere le dita scure e la labbra violacee“.
Quindi hai deciso di contattare l’Asrem.
“Una mattina sembrava che mi mancasse il respiro e ho capito che bisognava chiedere aiuto e se fosse il caso di sottoporsi ad un tampone. Ho contattato il numero verde e mi hanno fatto una serie di domande. Credevo di non essere entrata in contatto con persone positive al Covid-19, ma chi poteva saperlo in fondo. I miei sintomi erano compatibili con la malattia del momento e mi sono venuti a prelevare a casa con un’ambulanza. Dovevano aiutarmi a camminare perché non riuscivo. In ospedale ho scoperto di avere una polmonite acuta. Quando mi hanno comunicato che ero positiva al Covid-19 ho vissutto un momento di paura ma allo stesso tempo ho anche reagito con consapevolezza perché avevo avuto conferma di quello che ormai era un chiaro sospetto“.
Hai capito dove potresti essere stata contagiata?
“Siamo alle probabilità, ma posso ritenere che sia stato il luogo di lavoro. Successivamente infatti è venuto fuori che qualcuno avrebbe manifestato sintomi e non lo ha comunicato subito o avrebbe avuto contatti con persone rientrare dal Nord. Oltretutto la mia famiglia è risultata negativa al tampone e il periodo precedente ai miei problemi di salute al di fuori della casa era l’unico luogo che frequentavo. Non è un caso che successivamente siano stati accertati più casi di persone positive asintomatiche“.
Come sono stati tutti quei giorni in ospedale?
“Il personale di reparto è stato molto competente e mi sono sentita al sicuro. Mi hanno sottoposto a terapia ventilatoria con il Cpap per aiutarmi a respirare. Sono una persona combattiva, ho cercato sempre di rimanere vigile, di parlare con loro e seguivo le loro indicazioni. Ma erano giorni interminabili e difficili“.
C’è stato un momento in cui ha temuto per la tua vita?
“Devo dire che il mio corpo ha avuto una risposta veloce alle medicine, tuttavia quando mi hanno comunicato che la mia situazione era stazionaria ho iniziato ad entrare nel panico. Temevo che potessero subentrare delle complicazioni, che i miei polmoni non riuscissero a guarire, che sarebbero rimasti dei segni permanenti“.
Chi ti ha aiutato a superare questi timori?
“I medici e gli infermieri mi hanno aiutato anche in questo. Così come la mia famiglia. Ci sentivamo via telefono, appena io potevo ed ero in condizioni di farlo. Mio marito e mio figlio mi hanno dato la forza e la tranquillità di cui avevo bisogno. Mi raccontavano le cose che facevano e che succedevano là fuori per distrarmi e farmi mantenere il contatto con la reatà. Perché quando sei lì c’è il rischio di perderlo. Quando ero ricoverata, è come se alcune cose si fossero annullate. Ero lucida, ma non riuscivo a ricollegare degli aspetti, degli elementi al mio passato. Questa malattia incide molto sia sull’aspetto fisicio sia sull’aspetto mentale. E incide sugli organi di senso, quindi sul gusto, sul tatto, sulla vista.“.
Ci sono persone che vuoi ringraziare in particolare?
“Ci tengo ad esprimere tutta la mia gratitudine al personale del reparto, a partire dal primario Santuopoli fino alla caposala, passando per i medici e gli infermieri di cui non ricordo tutti i nomi. Ma davvero grazie a tutti per l’umanità e la professionalità con cui mi hanno assistito. Ho percepito un grande lavoro di squadra. E’ un reparto particolare con una gestione dei pazienti difficile e pericolosa. Anche perché si tratta di persone che poi devono stare attente quando finisco di lavorare, sapendo che devono tornare a casa dalle loro famiglie. Non è un lavoro semplice né da un punto di vista pratico né mentale“.
Che cosa pensi delle riaperture? Secondo te la gente in strada sottovaluta il rischio di contagio?
“Credo che le misure adottate e l’uso delle mascherine abbiano un po’ abbassato la possibilità di trasmissione e contribuiscano alle misure di contenimento intraprese. Ma proprio perché non sappiamo chi potrebbe essere portatore del virus, perché magari asintomatico, basta guardare la mia esperienza, dico a tutti di stare attenti e non commettere leggerezze perché con questo virus non si scherza“.
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