Con un editoriale del professor Mancini, l’associazione “Forche Caudine” (l’associazione dei molisani a Roma) s’è soffermata sull’eventuale “obbligo”, per i lombardi intenzionati ad andare in vacanza per la bella stagione, di dover trascorrere giornate estive in Molise, regione con analoghi rischi in ambito di Covid-19. Una condizione che ha acceso ironie, ad esempio in Marco Damilano (il direttore dell’Espresso ne ha parlato nel corso del programma “Propaganda Live”) o in Selvaggia Lucarelli. Eppure, sostiene l’associazione, questa condizione potrebbe rappresentare un ottimo e inaspettato assist per il turismo molisano. Sapendolo sfruttare. Innanzitutto, ricordano dall’associazione, le due regioni presentano vincoli determinati dalla forte emigrazione dal Mezzogiorno verso Nord. Sono infatti oltre 15mila i molisani che vivono in Lombardia, quindi più dei 10mila che sono a Roma. E molti di loro non rientrano più da tempo nella regione d’origine. “Un ritorno sarebbe benefico per rinsaldare o ricostruire collegamenti utili anche come premesse di sviluppo. Se ben sfruttati, ovviamente – scrive l’articolista. Ma, al di là dell’aspetto demografico, c’è un importante legame storico purtroppo poco valorizzato: il periodo longobardo (568-774) ha lasciato segni profondi non solo in Lombardia (dal nome della regione ai tanti complessi monastici fino agli itinerari longobardi che richiamano numerosi turisti), ma anche in Molise, che qualcuno definisce “regione più longobarda d’Italia”. Perché? La presenza longobarda in Molise – ricordano dall’associazione – è durata più che altrove ed ha lasciato rilevanti tracce: i toponimi di alcuni borghi (compresa Campobasso), castelli e ruderi (Cerro al Volturno, Bagnoli del Trigno, Tufara, Civita di Bojano). edifici religiosi (Santa Maria di Casalpiano a Morrone del Sannio), necropoli (località Morrione e Vicenne nella piana di Bojano), ecc. Una presenza che potrebbe essere valorizzata come offerta turistica unica, casomai con tutto il Sannio, a cominciare dalla chiesa di Santa Sofia a Benevento, inserita dall’Unesco nella lista del patrimonio mondiale dell’umanità. Insomma, sull’inedito legame Lombardia-Molise in una dimensione storico-culturale, più che sorridere bisognerebbe lavorare. “Gli appassionati di storia medievale e longobarda sono tanti e il patrimonio molisano in tal senso è sottovalutato – spiegano dall’associazione, che ritengono l’assist un’opportunità unica. “Invece assistiamo all’ennesimo interesse per le sagre paesane – si lamenta il professor Mancini – o per il solito stereotipo del ‘caciocavallo’, come se questo fosse una tipicità esclusiva del territorio molisano. A prescindere che la Dop del prodotto molisano è calabrese (“silano”) e che la moda del ‘caciocavallo impiccato’ è di origine lucana, in giro è più facile trovare prodotti pugliesi, campani, calabresi o siciliani che non molisani. E spesso, quelli molisani, sono fatti con latte proveniente dall’Est Europa. Purtroppo. Insomma, meglio puntare sulla cultura autentica e tangibile, in loco, anziché accentuare cliché che possono soltanto far male al Molise, salvo che confinarli a qualche buona tavola apparecchiata ma nulla più”. Il problema di fondo è che i longobardi non votano, i bottegai sì.
(in foto il Castello dei Maginulfo a Roccamandolfi)