Il nuovo focolaio creatosi a Campobasso negli ultimi due giorni spezza un periodo di quiete – a livello di nuovi contagi – che andava avanti da settimane e che rimanda a data da destinarsi i sogni di “Molise regione Covid free” auspicata dal presidente Toma. Ma mentre il personale Asrem si è attivato per isolare il contagio e si dovrà capire oggi e nei prossimi giorni chi è stato “raggiunto” dal coronavirus, una domanda sorge spontanea: con la pandemia in corso a livello mondiale che tipo di controlli sono stati effettuati nei confronti della famiglia proveniente dall’estero? Sarà pure vero che in assenza di sintomi e di febbre l’individuazione di un soggetto positivo diventa più complicata se non viene effettuato, a prescindere, uno screening di accertamento. E sarà pure vero che apparentemente il virus, almeno in Italia, attualmente è meno aggressivo. Ma non per questo, come dimostrato, in ultimo, fra martedì e mercoledì, un soggetto positivo non è contagioso. Esponendo altre persone a conseguenze comunque imprevedibili. Inoltre, con i confini aperti, per gli ingressi dall’estero c’è sempre un’allerta diversa. Basti pensare, rimanendo in tema di aiuti umanitari, ai tamponi che vengono applicati agli immigrati che arrivano via mare. La famiglia venezuelana positiva al Covid-19 sarebbe arrivata a Campobasso il 17 luglio tramite un “corridoio umanitario” gestito da una organizzazione neocatecumenale e che ha previsto una tappa intermedia in Serbia. Niente a che vedere con gli italo-venezuelani in fuga dal Sudamerica il cui rimpatrio in Molise è stato seguito da associazioni come il Comitato “Pro Venezuela” e “Padre Giuseppe Tedeschi”. “A causa della pandemia da 5 mesi abbiamo bloccato ogni iniziativa di rimpatrio per ragioni di sicurezza sanitaria“, ha spiegato Michele Petraroia, ex consigliere regionale e presidente onorario dell’associazione Tedeschi. “Ci limitiamo a seguire coloro che già si trovano in Molise mentre forniamo assistenza a distanza a quelli che si trovano in Venezuela o comunque all’estero“. Secondo le informazioni raccolte, una prima famiglia venezuelana sarebbe arrivata a Campobasso in periodo pre pandemia, probabilmente sempre tramite la stessa organizzazione. Potrebbe essere proprio il secondo nucleo familiare risultato contagiato nel pomeriggio di ieri, entrato in contatto con padre, madre e tre figli arrivati il 17 luglio. Ora c’è preoccupazione per il rischio di allargamento del focolaio tramite il campus estivo frequentato per circa 4 giorni da uno dei bambini venezuelani, che renderebbe un po’ più complicato il contenimento. Il gestore della struttura ha assicurato che sono state rispettate le misure preventive ma è chiaro che qualche comportamento, anche ingenuo, potrebbe essere sfuggito ai controlli. Era forse il caso di effettuare test sierologici sulla famiglia, a garanzia innanzitutto della loro salute? A spese di chi? Misure di prevenzione come quarantena e distanziamento probabilmente non sono state seguite o pienamente rispettate, considerando che sono state contagiate una seconda famiglia venezuelana e tre persone al di fuori di esse. Oggi si attende l’esito di ulteriori 100 tamponi. Petraroia ha pertanto lanciato un appello alle organizzazioni umanitarie del mondo della Diocesi e di altre correnti clericali. “Sospendete gli ingressi. Fermate le iniziative che possano mettere a repentaglio chi si mette in viaggio e la comunità di arrivo finché non ci sarà una situazione di recuperata sicurezza.“
Famiglia venezuelana contagiata, troppe leggerezze nei controlli? Petraroia alle associazioni umanitarie: “Sospendete gli ingressi in Italia”
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