Pane e fave, la tavola dei poveri. Giovanni Verga ce ne parla senza peli sulla lingua nel suo Mastro Don Gesualdo, scritto dopo la mirabilia dei Malavoglia. C’è sempre stato un rapporto simbiotico tra la cucina e la letteratura nel corso dei secoli. Oggi scopriremo insieme una delle tradizioni più longeve del Molise. Essa si tiene ogni 6 dicembre, in onore di San Nicola, a Provvidenti, piccolissimo bel paese dell’entroterra molisano. Provvidenti, con i suoi cento abitanti circa, qualcuno in meno e non qualcuno in più, si affaccia sulla valle che ospita Casacalenda proponendosi a guardia del circostante territorio che mirabilmente ancora conserva uno status di “divino“ per biodiversità e bellezza paesaggistica. Un borgo che ha il sapore dell’antico. Entrando, si sente il profumo delle leccornie di un tempo che solleticano le menti e i cuori sino a donare quell’eterno amore che spinge, una volta voltate le spalle per tornare da dove si è venuti, al desiderio ardente di un imminente ritorno. Vicoli, case rurali, qualche bel palazzo signorile, due Chiese e il sapore di chi spera come tanti in una rinascita rigenerativa. Ci si incammina e si ode ancora la musica dei potenti. Da Roy Paci, Irene Grandi, Don Backy, Franz Di Ciocco, Teresa De Sio a Morgan, dalla tradizione all’evoluzione. Ebbene si, Provvidenti fu distintamente la Patria della Musica, il Borgo della Musica per eccellenza e, grazie ad un progetto mirato, evoluto e distintamente ampliato, godrà di nuova linfa. Ma questo è argomento che vedrà altro inchiostro scorrere su fogli che faranno la storia di un piccolo borgo che non potrà che ingigantire ed inorgoglire tutto il Molise. Il sindaco del passato, Salvatore Fucito, ha intrapreso da tempo la via della rinascita ed il sindaco del presente e del futuro, Robert Caporicci, sulla strada tracciata, percorrerà chilometri per arrivare velocemente al traguardo, ormai scritto. Le cose belle si alimentano e la tradizione pura, quella che vede Provvidenti patria indiscussa di San Nicola di Bari, Santo venerato dalla Chiesa Cattolica e da quella Ortodossa, che mai smette di lasciare il segno in Molise, in Italia, nel Mondo, ce le offre con un piatto sapiente dal sapore dell’antico: pane e fave. San Nicola, venerato in Molise in ben 15 paesi (Bonefro, Castel del Giudice, Duronia, Fossalto, Guardiaregia, Lucito, Lupara, Macchia d’Isernia, Macchia Val Fortore, Macchiagodena, Pizzone, Provvidenti, San Giuliano del Sannio, San Polo Matese, Vastogirardi) e il cui culto viene celebrato anche a Colle d’Anchise, Mafalda, Petacciato, Tavenna, dona splendore ad un Mondo che ha superato da subito steccati e diversità, unendo popoli, tradizioni come quella dei fucilieri di San Giuliano del Sannio, e preghiera. E così, memori della forza di un Santo poliglotta, aspettando un gemellaggio amministrativo delle località molisane, per segnare la strada che porta da Vasto a Bari, per poi volare alla volta di Mosca, oltre che culturale, ripercorriamo la tradizione che ogni 6 dicembre riscalda l’intero paese ed ospita dall’esterno centinaia di visitatori che andando via lasciano una propria lacrima. Il 6 dicembre Provvidenti offre a tutti la pietanza dei poveri e la sua generosa storia fatta di tempo, calore, profumi, aggregazione.
Pane e fave. Il cibo dei poveri.
C’è sempre stato un rapporto simbiotico tra la cucina e la letteratura nel corso dei secoli e numerosi sono stati gli scrittori, che nei loro romanzi hanno evidenziato come il tipo di vivande aiutasse a distinguere i ricchi dai poveri. Se si fa in particolare riferimento al profondo sud descritto nei romanzi di Giovanni Verga, non c’è spazio per le tavole imbandite, per i cibi conditi con olio e accompagnati dal vino; quelle sono prerogative dei più ricchi mentre nel mondo dello scrittore siciliano regna, incontrastata, la fame. Ed allora in tavola si intravedono solo cibi che alleviano le sofferenze e rivitalizzano la parte povera del popolino. Cipolle, vino e pane, rigorosamente quello nero però, visto che quello bianco è riservato solo ai signori. Già allora pescatori e pastori erano uniti dal comune portare a casa il pane per sfamare se stessi e la propria famiglia. E poco importava se il cibo che si riusciva a “buscare” durante la dura giornata lavorativa fosse ben cotto. Anche Jeli il pastore, per esempio, non è interessato al modo di cucinare il suo pranz, e la sua cena “arrostiva le ghiande del querceto sulla brace di un focherello di sarmenti di sommanco, abbrustoliva le larghe fette di pane che cominciavano ad avere la barba verde di muffa”. E così, Nanni l’Orbo, spera “che ci sia una buona annata per il padrone e per noi”. Insomma, nella società disegnata dal famoso scrittore, la società si divide in due a tavola. Il pane veniva definitivo nel dialetto del volgo “pan e curtiddu” perché tagliato con il coltello a piccoli pezzi, per farselo bastare e durare il più a lungo possibile e non importava se a volte poteva essere duro; c’erano sempre le cipolle, che aiutavano a mandarlo giù.” Verso mezzogiorno sedettero al rezzo per mangiare il loro pane nero e le loro cipolle bianche” e se si era particolarmente fortunati, il pane poteva essere “cunzato” (caliato), ovvero finire in una minestra. Come, per esempio, quella di fave, che restava quella per antonomasia. Un piatto molto amato anche da Mastro Don Gesualdo al punto che è lui stesso a gustarne uno preparato dall’amata e fedele Diodata: “Una minestra di fave novelle, con una cipolla in mezzo, quattro uova fresche e due pomodori che era andata a cogliere dietro casa”. Un connubio gustoso ed economico, quello con il pane; carboidrati che si uniscono ad un alimento fresco, ricco di minerali come il ferro, acqua e fibre, che per molti anni ha regnato sulle tavole dell’umile popolo.
“Cozzetto” di pane con fave calde.
Sono i nostri nonni a raccontarci che in passato spesso si vedevano per strada venditori ambulanti che preparavo il classico “cozzetto” di pane con fave calde, un mix irresistibile a cui molti non riuscivano a sottrarsi. Tutta una serie di cose, dunque, hanno contribuito a far si che pane e fave resistesse nel corso di anni, nonostante il mutare continuo della società, anche perché i primi piatti come maccheroni e carne oppure lasagne, restavano una prerogativa esclusiva dei più ricchi. E quel piatto oggi lo ritroviamo a Provvidenti, in maniera diversa ma il sapore cucinato per l’occasione sprigiona ancora un odore inconfondibile. Un sapore che sa di genti passate, di tradizione, di aggregazione e, chissà, di un paese che non abbandonerà mai il suo destino alla modernità e alla cattiva voglia di andare via per non tornare più. La notte del 5 dicembre le poche famiglie si riuniscono intorno ad un “cavdar“ posto sul treppiede riscaldato da una fiamma soave, per sentir bollire le fave immerse in olio d’oliva nuovo dal profumo accattivante unito da aromi freschi e secchi che insieme donano splendore al perfetto inebriante tepore di fumi e sapori. Si aspetta sino alla mattina quando, dopo la benedizione del pane a forma di contenitore e ancora caldo da fresco sfornato, si accorre tutti dinanzi “lu cavdar“ e, sotto la spinta di un credo ancora forte, ci si rifocilla di un incredibile e sano pane e fave. Il pane viene così distribuito nelle case e con esso la forza di un Santo – San Nicola – che offre il companatico in onore dei “cafoni“, nella speranza che in fondi la fune che ci lega non si sciolga mai e ci accompagni sempre affinché il Mondo possa tornare ad essere quello dei Malavoglia, senza fronzoli ma pieno di amore.
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