Gli scaffali dei supermercati sono sempre più invasi da cibi prodotti con tecniche industriali. Tutti molto attraenti: dalla comodità di un pasto pronto da scaldare nel microonde al gusto di un sacchetto di patatine, all’economicità di uno snack da portare a scuola come merenda. Una ricerca del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli conferma ora il sospetto che questi cibi siano dannosi per la salute. Pubblicato sulla rivista scientifica American Journal of Clinical Nutrition, lo studio è stato condotto su oltre ventiduemila cittadini partecipanti al progetto Moli-sani. Analizzando le loro abitudini alimentari e seguendo per anni le loro condizioni di salute, i ricercatori Neuromed hanno potuto osservare che chi consumava una elevata quantità di questo tipo di alimenti presentava un aumento di rischio di morte per qualsiasi causa del 26% e del 58% per cause cardiovascolari. “Per analizzare il tipo di cibi – spiega Marialaura Bonaccio, ricercatrice del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione e primo autore dello studio – abbiamo usato la classificazione internazionale NOVA, che caratterizza gli alimenti in base a quanto siano stati sottoposti a processi di estrazione, purificazione o alterazione. In altri termini, quanto siano stati trattati industrialmente. I casi in cui questi processi sono maggiormente applicati rientrano nella categoria dei cibi cosiddetti ultraprocessati. E proprio in chi ha un elevato consumo di questi cibi è emerso l’aumento di rischio per patologie cardiovascolari e cerebrovascolari”. Il principale imputato potrebbe essere lo zucchero, che viene aggiunto in quantità notevoli. Ma la risposta sembra più complessa. “Secondo le nostre analisi – continua Augusto Di Castelnuovo, epidemiologo del Dipartimento, attualmente presso Mediterranea Cardiocentro di Napoli – l’eccesso di zucchero ha certamente un ruolo nel danneggiare la salute, ma è responsabile solo del 40% dell’aumento di rischio. La nostra idea è che una parte importante la giochi proprio la lavorazione industriale, con le modifiche che può indurre nella struttura e nella composizione dei nutrienti”. “Gli sforzi per orientare la popolazione a una alimentazione più sana – commenta Licia Iacoviello, direttore del Dipartimento di Epidemiologia e Prevenzione di Neuromed e professore ordinario di Igiene e Sanità Pubblica all’Università dell’Insubria a Varese – non possono più essere rivolti solo al conteggio delle calorie o a generici appelli alla Dieta mediterranea, mezzi con cui sono stati ottenuti anche buoni risultati. Ora il fronte si sta spostando: soprattutto i giovani sono sempre più esposti a cibi preconfezionati, facili da preparare e consumare, estremamente attraenti. Ma questo studio, e gli altri a livello internazionale che vanno nella stessa direzione, ci dicono che una corretta alimentazione è fatta anche scegliendo cibi freschi o minimamente lavorati. Spendere qualche minuto in più nel cucinare un pranzo anziché infilare un contenitore nel microonde, o magari preparare un panino ai propri figli anziché mettere una merendina preconfezionata nello zaino, sono tutte azioni che ci premieranno negli anni”.
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