Ore 9.50. Due settimane nella trincea del Cardarelli, un respiratore artificiale per restare aggrappato alla vita, la sensazione di soffocamento, terribile, mai provata e che, si augura Alessandro Amoroso, non riproverà più in futuro. Ma anche un personale eccellente, armato di tanta professionalità e umanità. E’ la testimonianza che il sindaco di Petrella Tifernina, risultato positivo al Covid a fine dicembre, porta con sé nel giorno in cui – oggi – è stato dimesso dall’ospedale di Campobasso, tramandata ai suoi familiari, ai suoi amici, ai suoi compaesani, accennata tramite un post pubblico su Facebook (in basso) e condivisa anche con noi, che lo abbiamo raggiunto al telefono. “La sensazione più brutta – ci spiega – è stata al momento del ricovero. Avevo paura e difficoltà a respirare. Poi col passare dei giorni, con il trattamento e la terapia a cui sono stato sottoposto, la situazione è andata via via migliorando“. In un letto del reparto di Malattie Infettive, all’interno di una stanza con altre tre persone, Amoroso viene subito rassicurato da chi lo ha preceduto: “Sono bravissimi“. Ma la diffidenza provata dal sindaco non era tanto verso le donne e gli uomini avvolti da tute impregnate di fatica e sudore e scafandri dall’aspetto alieno, quanto forse nella eventuale reazione del suo corpo. Il macchinario di fianco al letto che lo aiutava a gonfiare i polmoni per farvi entrare l’ossigeno era il suo compagno quotidiano, di giorno e di notte, anche quando gli altri nella sua stanza dormivano – o tentavano di farlo – e il personale era impegnato altrove. Eppure col passare del tempo i sentimenti negativi si trasformano, conoscono una evoluzione.
“Non mi aspettavo un reparto così organizzato, di una umanità unica e non solo nei miei confronti – spiega l’amministratore di Petrella. – Ho passato quei brutti giorni in un luogo di conforto e di disponibilità diffusa, nonostante medici e infermieri fossero limitati nei movimenti“. Nell’esperienza di Amoroso nessun caso di pazienti abbandonati, relativamente ai quali nelle scorse settimane sono emerse testimonianze di familiari e qualche esposto. “Non è stato il mio caso ma posso dire questo: nel reparto sono organizzati in una maniera tale che è impossibile avere una assistenza continua nell’arco dell’intera giornata. Il personale, ho visto, non può stare troppo a contatto con i pazienti. Però quando è stato necessario è sempre intervenuto. Ci osservavano con una telecamera. C’era un megafono per le comunicazioni. Io avevo il cellulare per parlare con l’esterno e con il personale sanitario. Una volta mi hanno telefonato per chiedere cosa stesse facendo un mio compagno di stanza perché avevano notato un comportamento di agitazione. Di certo come organico sono sottodimensionati e non sono messi nelle condizioni per lavorare nel migliore dei modi. Nonostante questo, danno il massimo“. Amoroso ha visto avvicendarsi pazienti nei letti che vedeva al di là del suo naso, nessuno per fortuna portato via in un sacco. Ora può concludere il suo percorso di guarigione e recupero a casa. Lui, amministratore pubblico e appartenente alle forze dell’ordine, che più di altri entra in contatto con le persone e quindi era fra coloro che, lo sapeva, sono maggiormente esposti al contagio, dopo questa esperienza non può che rinnovare l’appello. “E’ un virus subdolo. Puoi forse capire da chi è avvenuta la trasmissione ma è difficile se non impossibile stabilire il momento del contagio. Sarebbe necessario il più possibile stare isolati e comunque utilizzare tutte le precauzioni con rigore nel caso in cui si entri in contatto con altre persone. Perché basta davvero poco per essere attaccati“.
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