Un anno fa il coronavirus faceva capolino nella nostra regione, iniziando a lasciare i suoi drammatici effetti. Il primo caso di Covid-19, che i molisani speravano non venisse mai riscontrato, fu accertato il 2 marzo 2020 ad una donna di Montenero di Bisaccia, Lucia Miri, casalinga. Ventidue giorni intubata, quasi due mesi al Cardarelli fra i reparti di terapia intensiva e malattie infettive. Ricordi e sensazioni terribili che Lucia ha impressi come una cicatrice nella sua mente e sul suo corpo, mentre ancora oggi sta pagando le conseguenze di quella malattia. Abbiamo contattato Lucia, la ‘paziente 1’ molisana, per ascoltare il suo parere e le sue sensazioni sull’attuale situazione dell’emergenza, nel primo giorno della ‘zona rossa’ in regione. Innanzitutto, come sta oggi?
“Ora per fortuna sto bene, anzi diciamo meglio, perché dopo 1 anno ancora mi porto dietro i problemi nati dopo quella degenza. Sono spesso affannata, ho vuoti di memoria di cui mi vergogno e dormo poco, 2 o 3 ore a notte, cosa che mi rende nervosa. Neanche le gocce contro l’insonnia mi aiutano. Sono costretta a dormire sul divano perché temo di svegliare mio marito che il giorno dopo deve lavorare. Inoltre provo forti dolori ai muscoli del braccio e della gamba, soprattutto dopo che li ho tenuti per molto tempo fermi. Prima della riabilitazione era anche peggio“.
Lei che lo ha già sconfitto, si sente una persona immune al virus, visto il pericolo molto più forte rispetto all’anno scorso e i tanti contagi?
“No. Perché ancora si devono scoprire tante cose di questo virus. Inoltre temo le varianti. Chi me lo dice che i miei anticorpi siano sufficienti a contrastarle? Mi hanno detto che è difficile se non impossibile che io possa ricontrarre il Covid. Ma io ho ancora paura, ripenso ai giorni vissuti l’anno scorso, quelle terribili sensazioni. Qualcosa che mi auguro di non provare mai più. Ecco perché mi limito a fare le cose essenziali. Esco di casa solo per fare la spesa o per portare il cane a fare i suoi bisogni. I miei contatti sono limitatissimi. Mi mancano gli abbracci. Mi mancano le mie figlie e miei nipoti che vivono fuori“.
Il vaccino quindi è l’unica soluzione per tutti? Lei lo farà?
“Il vaccino è una delle armi che abbiamo. Non so fino a che punto sarà efficace, perché trovare in così poco tempo un vaccino per un virus che fa tutti questi morti mi rende un po’ scettica. Però quando toccherà a me lo farò. Per ora mi è stato detto che devo aspettare. Se è davvero efficace che si faccia subito a tutti“.
Intanto possiamo solo seguire le disposizioni e stare attenti, giusto?
“Assolutamente. C’è chi scherza col fuoco“.
Conosce persone che ancora mettono in dubbio la pericolosità di questo virus o che hanno un approccio superficiale?
“Purtroppo ci sono persone anche nella mia comunità che a tutt’oggi negano o prendono sotto gamba il problema. Alcune di queste pensano che ci sia a monte un piano oscuro e che l’attuale situazione sia una farsa. Io non auguro il male a nessuno ma evidentemente c’è chi solo provando quello che ho provato io si renderebbe conto“.
Quindi, da una parte abbiamo un problema sanitario, dall’altro dopo un anno c’è ancora troppa disattenzione?
“Si, vedo tanti giovani che si incontrano senza mascherine, ma anche adulti che dimenticano ogni tanto che ci troviamo nel mezzo di una pandemia. Già non è facile capire il momento del possibile contagio e può capitare anche alle persone scrupolose di infettarsi. Se noi ci comportiamo per agevolarlo…”
Lei, ad esempio, è riuscita a stabilire il momento in cui entrò in contatto con il virus?
“Ancora non ne ho la certezza. A febbraio dell’anno scorso andai per dieci giorni a Telese, nel Beneventano, da mia figlia. Non feci niente di particolare, stavo sempre con lei e la sua famiglia. Ricordo che al ritorno, sul pullman, c’era un autista con febbre e tosse, sintomi che stando al suo racconto aveva iniziato a manifestare durante il servizio. Era forse contagiato? Da lui ho preso il Covid? Chi lo sa. Di certo né mia figlia né la sua famiglia, dopo che fu accertata la mia positività al Covid, risultarono contagiati alla prova del tampone e ad oggi non lo hanno mai contratto“.
Come ha scoperto la sua positività?
“Sono rientrata a Montenero il 29 febbraio. Avevo la tosse ma per me era una prassi, in quanto da qualche anno mi veniva ormai in maniera costante e già si era manifestata in quel periodo. Il problema è che la sua intensità e la frequenza dei colpi di tosse divennero via via più forti. Mi svegliai la notte, dopo due giorni, con una fitta al petto. Peraltro sono cardiopatica, quindi temevo di essere colpita da un infarto. Perciò contattai il mio medico. Quando gli ho descritto i sintomi mi ha ordinato di restare a letto e mi ha riferito che avrebbe chiamato un’ambulanza per farmi prelevare da casa. Il sospetto, lui, già ce l’aveva. Io invece non immaginavo proprio che potesse trattarsi del Covid. Quando i sanitari del 118 arrivarono e mi condussero sull’ambulanza, inizialmente volevano trasportarmi al San Timoteo. Poi dopo alcune telefonate fu loro indicato di recarsi a Campobasso, al Cardarelli. Persino loro erano scettici sulla possibilità che io potessi aver contratto il Covid. E invece una volta al Cardarelli sono stata sottoposta a tampone e dopo due ore di attesa mi è stato comunicato l’esito. Positivo. Non ci credevo. Ero entrata in un altro mondo. Era la mattina del 2 marzo“.
Cosa è successo dopo?
“I miei sintomi peggioravano, mi sentivo soffocare, era come aspirare il nulla. Continuavano a somministrarmi ossigeno. La sera del mio arrivo in ospedale fu ricoverato anche mio marito, eravamo nella stessa stanza, uno di fronte all’altro. Ad un certo punto mi hanno detto ‘Adesso dormirà un paio di giorni’. Ma ne sono passati 22 prima che mi risvegliassi“.
Ricorda qualcosa?
“Nulla. Ricordo solo un’immagine. Forse un sogno. Io che correvo in un tunnel e delle ombre che cercavano di prendermi“.
L’hanno considerata una miracolata.
“E’ così. Me lo hanno detto quando mi sono risvegliata. Non riuscivo a muovermi. Ho ripreso a parlare con un filo di voce dopo una settimana. Medici e infermieri, che ringrazio, si sono presi cura di me e mi hanno salvato. Ma credo che anche i miei genitori da lassù mi abbiano aiutato. Forse se fossi stata ricoverata oggi, in questo periodo, non sarei più qui“.
Perché secondo lei tutti questi decessi?
“Il personale è ristretto e i ricoveri molti di più. Ma ho la sensazione che ci sia anche un altro fattore. Quando sono stata ricoverata io eravamo all’inizio di questo inferno e i medici si sono presi cura di me con tutte le attenzioni possibili. Forse ora c’è anche un po’ di rassegnazione, loro sono sempre gli stessi di fronte a tutti questi pazienti che necessitano di cure costanti e le energie mentali stanno venendo meno“.
Ritiene che il Molise sia arrivato impreparato alla seconda ondata?
“Sì. Io sono una di quelle persone che crede e credeva nel centro Covid a Larino. Purtroppo è stato perso troppo tempo. In un modo o nell’altro, è il personale quello che andava trovato. Non si possono cercare scuse. Qui siamo in mezzo a una pandemia. Medici e infermieri andavano trovati subito e con tutte le risorse possibili“.
Lei è favorevole alla zona rossa? Servirà?
“Me lo auguro. Ma andava dichiarata già da tempo“.