Sarà forse che questa mattina la pioggia e le basse temperature abbiano ulteriormente “impigrito” le masse, ma non si può trovare ogni volta la scusa per giustificare una adesione così limitata ad una manifestazione che, viste le tematiche, dovrebbe essere sentita da una vasta collettività. Quello di stamattina in piazza Prefettura, a Campobasso, non era un sit-in per pochi disperati dimenticati. Si trattava di uno sciopero generale, promosso a livello nazionale nelle città italiane, con qualche variante nelle rispettive realtà locali in base alle vertenze e alle questioni più “scottanti” del momento. Nel capoluogo molisano, nonostante l’impegno dei promotori, molti neanche si sono accorti della protesta – contro il Governo Draghi e contro il Governo regionale di Toma – e ad un certo punto erano – o sembravano – più le bandiere che le persone. Il Soa, che ha organizzato la manifestazione insieme all’Usb e al Cobas, ha ringraziato i presenti per non essersi tirati indietro, sottolineando come “le chiacchiere se le porta il vento” e che “le proteste non si fanno dal salotto o dal letto di casa oppure dietro una tastiera“. Una frecciata, se si vuole, a quanti si lamentano e non fanno nulla. Ma anche a tanti assenti che in eventi come questo avrebbero dovuto mostrare unità. Oltre ai tre sindacati, c’erano esponenti del movimento spontaneo di lotta “Cacciamoli”, il comitato dei familiari delle vittime di Covid, e movimenti politici di base come la Sinistra di opposizione molisana, Azione Civile e il partito Comunista.
Troppo pochi in realtà per non rischiare di finire nell’autoreferenzialità e che confermano, al di là delle idee politiche o dei punti di vista, un andamento dormiente e di rassegnazione delle masse, dove il “potere” inteso come quello che ruota intorno alle istituzioni, ai posti di comando e alle decisioni più importanti, riesce a mettere il suo zampino. Il governo Toma, ad esempio, in questo momento non ha certo un plebiscito di consensi. La sanità pubblica, uno dei temi della manifestazione, ha scatenato le critiche e le reazioni dei più nei mesi scorsi. Le vertenze di lavoro in regione sono numerosissime. Basterebbero questi aspetti per superare almeno una parte dei tifosi – diciamo quelli immortalati in una singola fotografia – che erano in fila in quella stessa piazza un mese fa per acquistare i biglietti della partita del Campobasso. Il problema è che il tempo è cambiato da parecchio, anche in questa regione. Sono lontani i giorni delle 5mila persone (almeno questi erano i numeri all’epoca celebrati) che sfilavano in corteo tra le strade della città in difesa del Cardarelli e della sanità pubblica agli inizi dello scorso decennio, o persino contro la paventata chiusura della Cattolica. Erano i tempi in cui politica, sindacati, comitati, la Chiesa, riuscivano a chiamare in piazza i liberi cittadini. Poi, quanto ognuno di loro fosse “libero” politicamente o comunque da interessi non collettivi è impossibile stabilirlo per tutti. Ma i cittadini c’erano. Quei numeri erano dei giganti che sovrastano i nani (riferito sempre ai numeri) del presente. Quando un certo sostegno è venuto meno, ecco che i dati dell’affluenza sono iniziati a diminuire. Associazioni come il Comitato Pro Cardarelli guidato da Italo Testa sono riusciti a mantenere una buona partecipazione, arrivando in alcune manifestazioni al migliaio – o forse più – di presenze. Oggi invece la protesta si fa sui social. Ed evidentemente pesano un minor attivismo da una parte e un maggior individualismo dall’altro, che finiscono per far preferire non identificarsi con quel volto o quella sigla invece che badare al tema della protesta. La politica in questo senso fa il resto, facendo venire meno l’appoggio o cercando alleati per isolare i “ribelli”.