Ha cercato di resistere il più possibile in questo mondo con la speranza di veder realizzata la sua giustizia, non più tanto per se stesso, vista ormai l’età, ma per la sua famiglia, erede di quel diritto e di quel riconoscimento del lavoro svolto che ha legittimamente rincorso per anni. Antonio Cappussi, imprenditore bojanese, si è spento a 99 anni. Famose le sue battaglie contro la Regione per vedersi riconosciuti dall’Ente i compensi per la realizzazione di 80 chilometri di strade interpoderali, per le quali la sua impresa aveva investito soldi ed energie. La sua storia era finita sui giornali e sulle emittenti televisive nazionali. Molti ricordano nel 2014 il “blitz” de Le Iene davanti al Consiglio regionale (in foto Cappussi con Giulio Golia) quando l’imprenditore si incatenò nei pressi dell’ingresso di Palazzo D’Aimmo al fine di ricevere risposte dagli amministratori, scatenando uno scaricabarile di responsabilità. Nel 2018 una sentenza del Tribunale civile gli ha dato ragione, pur riconoscendo solo parzialmente il credito vantato (circa 2 mln di euro invece che 8), contenzioso peraltro ancora pendente. Di lui parla l’avvocato bojanese Alfonso Mainelli in un post sui Facebook: “Addio ad Antonio Cappussi, il simbolo dell’Italia onesta che ci ha fatto capire che troppe cose non vanno in questa nazione, e averlo fatto morire senza quella giustizia in cui aveva sempre creduto è uno dei peggiori fallimenti di questo Stato ormai alla deriva sul piano etico. Un sistema giudiziario totalmente estraneo ai principi costituzionali alla fine lo ha stritolato negandogli il diritto al giusto compenso per il suo lavoro, del quale, peraltro, beneficia tutto il Molise che corre sulle strade che lui aveva realizzato. Alla facoltà di Giurisprudenza dovrebbero studiare la sua storia giudiziaria per capire cosa non dovrebbe mai essere un processo. No, non c’è stato onore in quello che gli hanno fatto: non gli hanno rubato solo i frutti di un onesto lavoro, gli hanno rubato anche la vita.”
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