Nel 1966, quando in pieno boom economico e emigratorio dal nostro meridione milioni di persone si sono trasferite al centro-nord Italia, il cantautore genovese Bruno Lauzi (1937-2006) ha pubblicato la bella canzone “La donna del sud” (https://www.youtube.com/watch?v=ds8jNb1JuD0). Parla proprio di una emblematica “Maria” … più o meno come la Maria dello sceneggiato di RAI UNO in tre puntate “La Sposa” di cui è andata in onda la prima, domenica sera 16 gennaio, suscitando, com’era prevedibile, una marea di polemiche ma anche di apprezzamenti (con ben 6 milioni di spettatori e uno share del 26,8%). Poi, nel 1967, un altro bravo cantautore italiano, Sergio Endrigo (1933-2005), ha fatto eco a Lauzi con un’altra memorabile canzone intitolata “Il treno che viene dal sud” con un testo meno idilliaco e più attinente al dramma dell’emigrazione (https://www.youtube.com/watch?v=1JgS9PnZXok).
E, appunto, adesso, con vero grande merito, Rai Uno, con la miniserie TV “La Sposa” (protagonista la stupenda attrice napoletana Serena Rossi il cui nonno era di Montefalcone del Sannio in provincia di Campobasso), riprende il tema dell’emigrazione con un argomento più specifico, quello delle spose del sud richieste da agricoltori e allevatori del centro-nord che avevano bisogno di braccia forti e donne fertili, preferibilmente vergini e abituate ad obbedire e a sacrificarsi molto, come, ad esempio, Venerina Infratta andata in moglie a Francesco Zanni di Medicina in provincia di Bologna. Una storia molto sofferta di cui si è recentemente occupata la stampa molisana che ha dedicato al personaggio e a quell’epoca intere pagine di narrazione e di considerazioni, dal momento che il fenomeno delle ragazze richieste in moglie al nord è stato assai vasto. E tale argomento è così tanto sentito in Molise che alcune compagnie teatrali (come quella delle 4C e degli autori-registi Umberto di Ciocco e Antonino Patriarca) si sono dette disposte a portare in scena il dramma di queste “spose del sud” che sono state protagoniste dal dopoguerra fino alla soglia degli anni novanta.
Inoltre, sensibile come sempre ai grandi temi sociali, la Pontificia Fonderia Marinelli di Agnone sta già lavorando ad una campana-monumento dedicata e intitolata proprio “Campana Donne del Sud” disponibile per chiunque voglia onorare quelle donne che hanno fatto la fortuna di interi territori, come, ad esempio, le Langhe (ampio territorio tra le province di Cuneo e di Asti) “salvate” proprio dalle donne venute dal Sud, come afferma lo stesso Carlo Petrini (ideatore e realizzatore internazionale dello Slow Food) nella prefazione del libro di Lou Palanca “Ti ho vista che ridevi” edito da Rubbettino nel 2015. L’Università delle Generazioni afferma che sarebbe bello ed utile che altri monumenti sorgano sia al Sud (come quello di Badolato, in provincia di Catanzaro, realizzato nel 2021 dallo scultore Gianni Verdiglione) così come al Nord per conservare e valorizzare la memoria di questo esercito di donne che hanno contribuito silenziosamente e veramente tanto a salvare specialmente la pianura padana sia come demografia che come economia. Si pensi, ad esempio, alle mondine nelle risaie lombarde e piemontesi o alle ortolane che hanno garantito l’approvvigionamento quotidiano di frutta e verdure di grandi città come Milano, Torino, Genova, Bologna per oltre quaranta anni, prima che fossero soppiantate dalla globalizzazione. Un monumento come tributo di riconoscenza sociale e storica è quanto mai necessario.
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