Dove eravamo rimasti? Una voce fuori campo, nel momento in cui si spengono le luci per introdurre Roberto Vecchioni, fa risuonare questa domanda in un Teatro Savoia pieno zeppo, letteralmente sold out. Per bocca dello stesso Vecchioni “ho fatto il disco, e poi è arrivato il Covid”, per cui avevamo lasciato incustodito, nel cassetto della memoria, il brivido magico che si prova ad assistere ad uno spettacolo del genere, dove un’artista tra una canzone e l’altra racconta se stesso, la sua vita, le sue donne, le sue poesie preferite e crea un’empatia con il pubblico fatta di parole, canzoni, “buone vibrazioni”, come cantava qualcuno negli anni ’60. “L’Infinito – Parole & Musica” il titolo dello spettacolo nel quale l’artista milanese ha affrontato i temi a lui più cari anche attraverso monologhi e racconti, intervallati dai brani recenti dell’ultimo album “L’Infinito” e da alcuni classici del suo repertorio.
Il professor Vecchioni tocca varie corde, passando dai momenti più intimi vissuti accanto al figlio che soffre di disabilità con il pezzo “Le rose blu”, ad “Ogni canzone d’amore” perché ridacchiando amaramente, forse per celare l’emozione che traspare dalle rughe di un volto segnato dagli anni e dalle storie vissute, “le canzoni d’amore sono tutte uguali, ma questa no, questa parla dell’unica donna che esiste per me, di cui sono certo hanno cantato e scritto anche i poeti venuti prima di lei”.
Toccante anche la breve lezione su Leopardi, “che viene fatto passare per uno che odiava la vita, quando invece era la vita ad avere odiato lui” e sulla Ginestra, uno dei massimi componenti del poeta recanatese, che “emana il suo odore, anche sulle pendici del Vesuvio, anche se nessuno in quel momento lo sente, perché è un po’ come i poeti, che hanno bisogno di emanare parole, versi, pensieri, di farli sgorgare fuori a prescindere da chi gli sta intorno”
Vecchioni accarezza il pubblico, si fa accompagnare da Massimo Gelmini alla chitarra e Lucio Fabbri al pianoforte (uno che ha fatto 48 Festival Di Sanremo … “due palle”, chiosa Vecchioni nel presentarlo, scherzando ma non troppo), ricreando un tappeto sonoro che veste alla perfezione l’acustica del Teatro Savoia, restituendo ai presenti sia i brani delle sue produzioni più recenti (Com’è lunga la notte, Sogna ragazzo sogna) che i cavalli di battaglia suonati nel bis, invocato da un interminabile applauso del pubblico, ovvero “Luci a San Siro” (qualche maligno ha sussurrato “l’ha lasciata alla fine perché il Milan stasera ha vinto, da interista gli fa male”) e Samarcanda, che ha ottenuto l’effetto di schiodare dalle poltroncine anche i più compassati.
Ha l’obbligo, a proposito, di non rimanere compassata la programmazione culturale dei prossimi mesi, a Campobasso come in tutta la regione. La tanto auspicata ripartenza ha il dovere di cancellare un sapore agrodolce che rimane in bocca tornando a casa dopo eventi del genere, stretti tra il piacere di aver assistito ad uno spettacolo memorabile ed il timore che resti una parentesi, un fuoco di paglia, piuttosto che un punto di partenza di una programmazione di qualità che possa durare nel tempo.
F.D.L.