Personale della Questura, Squadra Mobile di Lodi, con la collaborazione delle Questure di Milano, Torino, Campobasso e Novara, nelle prime ore della mattinata odierna ha dato esecuzione a diverse perquisizioni locali e cinque ordini di custodia cautelare in carcere emessi dal GIP del Tribunale di Milano su richiesta della Procura della Repubblica di Milano — DDA nei confronti di un gruppo di cittadini nigeriani residenti nel sud del capoluogo lombardo, in provincia di Torino, Novara e Campobasso (precisamente, nel comune di Campomarino, ma gravitanti tra il milanese e la provincia di Lodi, per gravi reati riguardanti la tratta di persone, la riduzione in schiavitù, lo sfruttamento della prostituzione ed altri reati funzionali a tale attività, quali l’estorsione ed il favoreggiamento della prostituzione. I provvedimenti sono scaturiti ad esito dell’attività d’indagine effettuata dall’Ufficio, delegata e coordinata dalla Procura della Repubblica di Milano — DDA. Le investigazioni hanno permesso di accertare come il gruppo, composto da tre uomini e due donne, abbia sistematicamente reclutato, assoggettato e costretto a prostituirsi ragazze nigeriane prelevate in Libia (attraverso l’intermediazione di altri connazionali con cui erano in contatto) o direttamente da strutture di accoglienza sul territorio nazionale (da cui hanno agevolato l’allontanamento); in alcuni casi anche scortando le ragazze nel corso della traversata con i barconi nel canale di Sicilia. Le ragazze, tenute in una condizione di asservimento ed alloggiate prevalentemente in un appartamento ubicato a Melegnano (MI), secondo l’impostazione accusatoria, venivano costrette a prostituirsi lungo la strada provinciale 40 Binasca, in piazzole controllate dal gruppo. Secondo la prospettazione dell’accusa, le giovani donne venivano di fatto tenute in una condizione di totale assoggettamento, ottenuto con ripetuti stupri e violenze, e grazie ai riti Voodoo cui erano state preventivamente sottoposte nel paese d’origine ad opera di soggetti reclutatori in contatto con il gruppo di arrestati. Riti che fungevano da garanzia del debito contratto dalle ragazze con l’organizzazione per raggiungere il territorio europeo. La pratica costituisce un fortissimo elemento di soggezione per le ragazze in considerazione della giovane età, del basso livello di istruzione, dell’estrema povertà e della cultura animistica cui sono esposte nei villaggi di origine. Una volta sul territorio e nella disponibilità del gruppo le ragazze venivano costrette a prostituirsi e a cedere tutto il danaro agli aguzzini per l’estinzione del debito contratto con l’organizzazione e le spese di vitto, alloggio ed occupazione delle piazzole di prostituzione. All’interno del gruppo una delle donne arrestate, residente a Melegnano, fungeva da Mamane (avente compiti di gestione e coordinamento dell’attività di prostituzione e raccolta del danaro) coadiuvata dall’altra donna, residente a Torino, che si occupava anche del trasporto delle ragazze sui luoghi di prostituzione. A uno degli uomini, residente a Campobasso, è contestato in particolare avere svolto compiti di reclutamento delle ragazze, in alcuni casi prelevate direttamente in Libia e scortate lungo la traversata con i barconi, ed in altri casi prelevate e fatte fuggire da centri di accoglienza, poi condotte fino in Lombardia ed affidate agli altri due uomini residenti Melegnano (MI) e San Giuliano Milanese (MI); questi ultimi responsabili dell’assoggettamento e dello sfruttamento della prostituzione. I soggetti sono inoltre risultati vicini all’ambito delle confraternite nigeriane (Cult), gruppi di soggetti associati, con struttura gerarchica e verticistica, i cui appartenenti sono sovete dediti a traffici e violenze. Gli elementi di prova a carico delle persone sottoposte a misura, per quanto ritenuti idonei a fondare l’emissione di un provvedimento coercitivo, sono stati comunque acquisiti nella fase delle indagini preliminari e dunque dovranno essere successivamente vagliati dal Giudice per il definitivo accertamento di responsabilità, essendo la colpevolezza delle medesime persone allo stato solo presunta, in ossequio con quanto imposto dalla cosiddetta presunzione di innocenza.
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