Intitolata “We Are Who We Are”, non la miniserie televisiva di otto puntate dove si racconta di due ragazzi che vivono in una base militare americana in Italia dove si scoprono amici nel vivere identità, euforie, amori e angosce tipiche dell’adolescenza, ma una mostra curata dal fotografo campobassano Mino Pasqualone. Si è presentata come una collettiva, suddivisa in tre sezioni, ognuna delle quali ha affrontato un tema differente, figlio di un macro tema che dà il nome all’esposizione generale: “Noi siamo chi siamo”. Una intuizione ragionata, quella di Pasqualone, che affrontando e narrando, attraverso la fotografia, proprio le esperienze di vita quotidiana che, condizionandoci al periodo di vita, ci hanno permesso la connessione dopo la necessaria dose di formazione. Un percorso sin da subito affascinante. Appena entrati, nel bel sito del Circolo Sannitico, scampato alla fuitina della vendita, a coronamento della Sagra dei Misteri, ad aspettare i visitatori, un angolo suggestionante quale quello dettato da una luce che si connette dall’esterno per arrivare all’interno della mostra che appare, mai all’improvviso, sinteticamente realistica con sprazzi di sublime recondita appartenenza all’immensità mai troppo realistica, se pur sempre concretamente apparente.
Le sezioni tematiche offrono spunti di riflessione che, nell’ottemperanza, appagano anche il sognatore grazie alle capacità di forma concettuale. Il più concreto appagarsi è dettato dalla tenda nella quale il materasso, coercitivamente, funge da “manipola” di attrazione sentimentale dove è godere l’implicito senso di amore platonico e reale allo stesso momento, mai scevro di costruite stelle e musiche portatrici di libertà capaci di caducar l’astinenza. Mino Pasqualone ci va dentro “Fino alla Fine” e crea un percorso romantico, surreale, gestionale del sentimento, affabulatore, soprattutto grazie agli autori in mostra: Annarita Setaro, Ilaria Marinelli, Lino Cirucci, Michele D’Amato, Marco Libertucci, Mino Pasqualone e DoctorSway. Il tema dell’introspezione è forte e rimarca il percorso di un mondo sempre più alla ricerca di abitanti utili per la sua sussistenza in vita. La libertà è nella condizione fornita dalle parabole concettuali che sono racchiuse in foto dallo schema mai schematizzato, dalle fonti sempre corree al conflitto tra cielo e terra, tra amare o scegliere di essere amati, dall’essere al non essere che sopprime il pathos del colore e sforna pensieri di ogni tipo. Un pensiero permissivo lo si trova senza limiti di impoverimento fibronico e metafisico nelle foto esposte dall’artista sensibile quanto aforistica, Annarita Setaro.
Visionaria quanto basta, corrisponde all’esterno delle sue foto una sensazione di libertà condizionata, non al tempo, ma alla funzione di una non materia che grazie a colorati palloncini rosa, sormonta le maschere quotidiane nel riflettere pensieri che dalla noia quotidiana, riconducono a ritmi sfavillanti, giocosi, perversi per chi, della condizione oscurantista, vigila al favore del male, dell’oscuro, del buio. ”Non ti arrendere, ancora sei in tempo per arrivare e cominciare di nuovo, accettare le tue ombre, seppellire le tue paure, liberare il buonsenso, riprendere il volo”. Con queste parole di Mario Benedetti, Annarita ha voluto spezzare l’agone dell’essere isolata in un mondo che della bellezza ha un concetto narrato, e mai decisamente interiore. Una figura fuori da schemi, che filtra i pensieri inutili e si guarda intorno per garantirsi unicità e piccole cose. La voglia di volare diventa un’esigenza, l’esigenza si trasforma in estasi. Sensazioni che messe in mostra riconducono al mondo dell’etere, quello che consente ancora di mostrare la parte migliore e che porta a ribadire il concetto: vivere è sempre meglio di morire di noia. Le mostre sono una parte di chi vuol nascondersi per favorire la perfezione di una sorpresa. Se questa era la missione, sorpresa ci è stata offerta.