L’utilizzo di un coltello per sferrare un colpo, poi risultato fatale, ha generato un rapporto squilibrato in una colluttazione, o in un’aggressione subita, a mani nude. Questo squilibrio non può giustificare una legittima difesa, né un eccesso di legittima difesa. E’ quanto spiegato nelle motivazioni depositate nelle scorse dal giudice Salvatore Casiello, in qualità di presidente della Corte d’Assise di Campobasso che ha giudicato e condannato lo scorso 14 settembre a 15 anni e 4 mesi di reclusione il 40enne Gianni De Vivo per la morte di Cristian Micatrotta, avvenuta la vigilia di Natale 2021 in via Vico, a Campobasso. In 70 pagine, il presidente ricostruisce l’intero quadro e il contesto in cui si è consumato l’episodio, riportando prove e testimonianze messe a verbale nel corso del processo. Giusto, quindi, per il giudice riconoscere la penale responsabilità di De Vivo per omicidio volontario, vista l’arma utilizzata e le minacce via telefono che hanno preceduto l’incontro con Micatrotta e il “cognato” di quest’ultimo. L’episodio avvenne in via Vico, a poche decine di metri dall’abitazione di De Vivo. Prima ci sono stati spintoni e qualche calcio, come raccontato nel corso del processo un vicino di casa che aveva visto il terzetto litigare nel piazzale sottostante. Poi l’improvviso colpo sferrato alla gola con un coltello da cucina, un solo fendente. Fu un automobilista di passaggio a soccorrere Cristian Micatrotta mentre perdeva sangue dal collo e dalla bocca. Un colpo mortale che gli aveva lesionato l’arteria e provocato la morte per asfissia in pochi minuti, come ha ricostruito il medico legale nell’autopsia. Non è stato possibile provare la premeditazione, come richiesto dalla parte civile (il pm, al termine della requisitoria, aveva “rinunciato” a contestare l’aggravante, chiedendo la condanna a 21 anni di carcere), in quanto non sono stati riscontrati elementi chiari e inconfutabili che provassero un disegno studiato in precedenza per uccidere la vittima. Applicato infine lo sconto di un terzo della pena come previsto dal Codice Penale per le attenuanti che in questo caso si riferiscono all’azione preceduta da provocazione, tenendo anche presente che prima di questa sentenza l’altro giovane coinvolto ha patteggiato una pena per rissa nell’ambito degli stessi fatti.
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