La premier Meloni ha sempre dichiarato di voler mettere al centro dell’agenda di Governo la famiglia e il sostegno alla natalità. “C’è da chiedersi per quale motivo il Governo annuncia alcune cose e poi ne fa altre”, commentano Paolo De Socio, segretario generale della Cgil Molise, Alessandra Tersigni, segretaria delle Politiche di Genere per la CGIL Abruzzo Molise, e Sabrina Del Pozzo, segretaria della CGIL Molise.
“Infatti, dopo che la rimodulazione del PNRR messo in campo dall’attuale maggioranza di Governo ha tagliato 100.000 posti per l’accoglienza dei bambini negli asili nido, l’ennesima presa in giro alle mamme d’Italia è avvenuta con il cosiddetto “bonus mamme” introdotto per l’anno 2024 dalla Legge di Bilancio.
La CGIL ha sempre ritenuto che la politica dei bonus non fosse la migliore carta da giocare per sostenere la natalità. Più che di bonus una tantum e che variano di anno in anno ci sarebbe bisogno di misure strutturali di sostegno al difficile “lavoro” di genitori e più che di qualche mancetta ci sarebbe bisogno di aiuti seri, strutturale e consistenti. Invece, quello che è stato partorito dalla legge di bilancio appare più come una presa in giro alle neo mamme che come un intervento concreto di politica sociale.
La legge di bilancio 2024, infatti, prevede l’esonero della contribuzione previdenziale (generalmente 9,19% della retribuzione), fino a un massimo di 3.000 euro annui da riparametrare su base mensile (dunque per un massimo euro 250 mensili), per le lavoratrici che hanno almeno tre figli. Per il solo 2024, in via sperimentale, il bonus è attribuito anche in presenza di due figli fino al mese del compimento del decimo anno di età del figlio più piccolo. Nel 2025 e nel 2026, invece, il beneficio è assegnato dalla nascita del terzo figlio e si conclude con il compimento del diciottesimo anno dell’ultimo figlio. L’agevolazione riguarda tutte le dipendenti del settore pubblico e privato (anche agricolo, in somministrazione e in apprendistato) con contratto a tempo indeterminato. Sono escluse, invece, le lavoratrici domestiche.
Dobbiamo innanzitutto considerare che da tale agevolazione sono escluse tutte le lavoratrici precarie e quelle autonome (ovvero le lavoratrici assunte prevalentemente con contratti a tempo determinato). Una scelta totalmente insensata se pensiamo che proprio le lavoratrici più fragili dovrebbero ottenere maggiori tutele. Una seconda considerazione va espressa sullo strumento utilizzato per la corresponsione del bonus che consistendo in un esonero dei contributi previdenziali fa sì che all’aumentare del reddito della lavoratrice aumenti l’importo del sostegno. Invero la misura dovrebbe operare al contrario ed aiutare le mamme con redditi più bassi.
Ma la vera beffa del Governo è rappresentata dal fatto che le mamme che decideranno di richiedere il bonus perderanno l’agevolazione accordata alla generalità dei lavoratori dipendenti relativa all’esonero sulla quota dei contributi previdenziali per l’invalidità, la vecchiaia e i superstiti (quota IVS) a carico del lavoratore (cosiddetto taglio del cuneo contributivo). Dunque la scelta del bonus mamma fa perdere l’analogo taglio contributivo già percepito. In particolare l’esonero dei contributi IVS agisce nella misura del 7% fino ad un reddito mensile massimo di €.1.923 e 6% fino a 2.692€. In altre parole, ad usufruire in maniera piena del bonus mamme saranno soltanto le lavoratrici che percepiscono un reddito mensile superiore ad euro 2.692 mensili”.
Di seguito alcune tabelle che aiutano a mettere in chiaro:
“Per poter accedere al bonus mamme le lavoratrici devono comunicare al datore di lavoro la volontà di avvalersi dell’esonero in argomento, secondo i calcoli della CGIL lo sgravio dovrebbe interessare solo il 6% delle lavoratrici”, continuano i segretari. “Una platea volutamente ridotta, che non considera le lavoratrici con un solo figlio persino nei casi in cui questo sia affetto da disabilità. Paradossalmente del bonus mamme beneficeranno nella sua totalità le lavoratrici con stipendi medio alti. Le donne a basso reddito, usufruiranno di tale bonus in misura irrisoria. Più volte abbiamo espresso un giudizio critico sulla misura che, ancora una volta, segue la logica del bonus, e che conferma l’incapacità di mettere in campo un intervento ampio e strutturato nel tempo che affronti con serietà ed efficacia i problemi del divario retributivo di genere e del calo della natalità. Le scelte compiute dal Governo in tema di lavoro continuano ad essere condizionate negativamente da coperture limitate e insufficienti. Una serie di provvedimenti tutti nel segno dell’attivazione della sola leva economica e tutti con caratteristiche che, lungi dall’essere strutturali, ci riportano invece indietro alla stagione dei bonus che l’assegno unico e universale per i figli aveva tentato di smantellare nell’intento di offrire alle famiglie strumenti di carattere non temporaneo e tanto più consistenti quanto peggiore fosse la condizione economica del nucleo familiare. Nonostante l’anno che si è da poco concluso sia stato caratterizzato da un incessante refrain governativo sul tema della denatalità, il governo nei fatti non fa nulla per affrontare seriamente la questione. A cominciare dal combattere il lavoro precario che riguarda prevalentemente le donne e investire in servizi pubblici per l’infanzia.
Ben altre sarebbero le misure che dovrebbero essere messe in campo per consentire alle nuove generazioni la possibilità di progettare serenamente il futuro.”
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