Un saluto durato 27 anni, così la fotografia indaga le emozioni ‘difficili’: ricerca sociale nata in Molise pubblicata su rivista internazionale

Che ruolo ha la fruizione della fotografia contemporanea nell’affrontare le emozioni “difficili”?
Una ricerca sociale germogliata in Molise, cui capofila è stata la Liverpool Hope University che ha dato anche il consenso etico, pubblicata qualche giorno fa sulla rivista internazionale Photography and Culture, nata dalla mostra personale Leaving and Weaving di Deanna Dikeman e promossa dall’associazione Il Cavaliere di San Biase, prova a rispondere proprio a questa domanda.
L’articolo scientifico, dal titolo Addressing Uncomfortable Emotions through the photo-exhibition Leaving and Waving by Deanna Dikeman, è stato redatto da tre ricercatrici, due molisane e una da molto tempo qui in regione: Simona Palladino, docente di Scienze Sociali presso la Liverpool Hope University, Mariangela D’Ambrosio, ricercatrice in Sociologia Generale presso il Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi del Molise, e Paola Mitra, ricercatrice indipendente, laureata presso l’Università degli Studi di Napoli “L’Orientale”.
Tutto ebbe inizio quando, poco dopo le fasi più acute della pandemia di Covid-19, l’associazione Il Cavaliere di San Biase, sotto la guida di Antonella Struzzolino, riesce ad organizzare, negli spazi della Fondazione Molise Cultura, l’esposizione della fotografa americana Dikeman, composta da una serie fotografica che, in un rituale d’affezione, mostra il momento del saluto della fotografa ai suoi genitori. Lei sempre in auto, i genitori sempre sull’uscio della loro abitazione, in un lasso di tempo che rasenta la generazione: 27 anni.
Rituale d’affezione che contempla la forza inesorabile e perturbante del tempo, dunque. Che contempla amore e morte. Che mostra e dimostra le disarmanti verità della vita, nella sua semplicità e intimità, nei sorrisi dei genitori sempre più anziani e nella loro scomparsa. Non fotografie di paesaggio o ritratti, ma un gestalt di pura commozione (l’effetto della totalità delle fotografia supera quello della somma di esse). Una serie fotografica da cui è facile essere emotivamente trasportati, in cui nell’assoluta estraneità dei significanti rappresentati riconosciamo un significato universale, e l’essenzialità del fatto ci coglie impreparati, ci emoziona.
La raccolta di informazioni della ricerca sociale, nata dalla natura di questa mostra in relazione al tema dell’invecchiamento e della morte dei nostri cari, si è sviluppata in tre diversi momenti: la mostra a Campobasso ma anche il successivo spostamento dell’esposizione prima negli spazi di WSP Photography a Roma e poi in quelli di Grenze – Arsenali Fotografici a Verona. In queste occasioni è stato somministrato, a chi volesse, un questionario anonimo redatto dalle tre ricercatrici, per indagare l’impatto emotivo della mostra su temi complessi quali emozioni, invecchiamento, morte, nonché l’eventuale attivazione di comportamenti conseguenti all’impatto emotivo scaturito. Ne è risultata una collezione di storie di vita, di affetti interrotti, di buoni propositi.
“A mio parere – afferma Fabio Giagnacovo – quello che la ricerca ha riscontrato è essenzialmente che l’estetica moderna, fatta di percezione e filosofia, a partire da Kant con la sua più famoso – e a tratti incongruente – Critica alla Ragion Pura, ha ragione. Gli artefatti, in questo caso le fotografie, sono media emotivi (Barthes), trasportano un’aura al contempo cultuale e d’esponibilità (Benjamin), si legano all’occhio, al corpo, al cervello, di chi le esperisce (O’Doherty), concepiscono quell’iper-concetto traballante ma totalizzante di bello.
Dalla ricerca è emerso che i partecipanti della mostra sono stati positivamente coinvolti dalla semplicità e dall’immediatezza dei contenuti esperiti e dalla dolcezza dello sguardo della fotografa verso i suoi genitori. Una buona parte dei partecipanti si è immedesimata, facendo propria le percezioni scaturite dal progetto fotografico, e ha trovato nel questionario uno spazio di verbalizzazione, espressione e rielaborazione emozionale.
Leaving and Weaving ha stimolato anche l’assunzione di comportamenti relazionali positivi: nel prendersi, cioè, cura del proprio tempo e delle proprie memorie. Sembra, infatti, aver ispirato i visitatori ad immaginare di iniziare a svolgere la stessa pratica dell’artista: fotografare i propri cari per avere memorie tangibili dei momenti trascorsi insieme. In questo senso la mostra sembra aver incentivato un’attitudine proattiva di affrontare alcune tematiche attraverso l’arte e la creatività.
Possiamo ben dire, allora, che l’arte contemporanea, fluida e burrascosa, sia crocevia di senso e di scopo, totalmente inadatta ad una classificazione strutturale di stampo illuminista. In questo caso una mostra fotografica ha avuto l’effetto asincrono, dopo una prima metabolizzazione in mostra, di trasformarsi in arte relazionale, un’arte che dona coscienza e riflette sul proprio modo di elaborare la realtà.”
Il link per poter leggere la ricerca è il seguente: https://www.tandfonline.com/doi/full/10.1080/17514517.2024.2324507
Inoltre, il giorno 11 aprile, alle ore 14 (le 15 in Italia) la ricerca verrà presentata in un evento presso la Liverpool Hope University che è possibile seguire su Zoom attraverso questo link:
https://hope.zoom.us/j/83250017076?pwd=MVh2UXgxalRDR052Zml3T3Z0bjlLZz09

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