Aldo Palazzeschi, poeta “saltimbanco” e romanziere “straordinario”, con la sua poesia ancora sfugge a ogni etichetta. Tra i protagonisti delle avanguardie europee, futurista a proprio modo, dal lontano aldilà non è voluto mancare all’appuntamento dettato dalla 36esima edizione della giornata mondiale della poesia “2 ottobre”. In simultanea con Parigi e Venezia, Guardialfiera ogni 2 ottobre innalza la bandiera della pace e ospita poeti da ogni dove, onora l’accoglienza e rimpingua con essa, le acque sempre più chiare di quel lago spesso tentazione e gioia, ma anche rimpianto per gli antichi orti illibati di bellezza rubati al tempo e alla fantasia come decantava Francesco Jovine. Stile inconfondibile, il suo, sobria vena di umorismo velata da malinconia che solo le fiabe e il personalissimo narrare, ritraente tipi belli e brutti di ambienti ottocenteschi, spande all’applauso nell’imprimere al lettore modernità e vivezza rappresentativa. A Guardialfiera la poesia è di casa e Palazzeschi, quello che incredibilmente l’esimio professore Giuseppe Limone è riuscito a far rivivere al folto pubblico fatto di gente comune e poeti seduti sulle sponde del lago per animare la poesia, ha concesso ancora di rimirar l’eterno e ansimar stupore che solo la magia dell’orazione sublime dal trasporto senza tempo, può permettere il consolidare strade che non permetteranno mai la perdizione dell’anima. E così che anche “Essere o non Essere” diventa una fesseria dopo aver perduto il bandolo del vivere concreto in questo mondo e l’allegria può trionfare riponendo nell’intorno l’essere “senz’altro”. L’irriverenza ci pone domande a cui la risposta salta di qui e di là senza che nessuno possa cadere dal proprio banco che, nell’essere saltato sino all’infinitesimale, rende l’idea che nessuno possa rispondere alla domanda: Chi sono?
Applausi a scena aperta per Limone, succo etereo che nell’asprezza del suo sapore ha ingigantito la prospettiva di cultura e scalfito i cuori, persino quelli più pietrosi e duri da scalpellare. Un artista dalla voce morbida ma ruvida, tanto da scartavetrare la ruggine che ormai inaridisce l’erba e fa morire. Grazie a Giuseppe Limone la platea riscopre la sintesi e ne sottrae il sapere d’acqua chiara che finalmente è dal cielo scesa sul capo non più chino, di una Guardialfiera stupefatta all’intelligenza, mai fine a se stessa. Da Limone a Palazzeschi, da Palazzeschi ai poeti che inanellati da funi invisibili, ma tese al camminare insieme, e la sala Conedera si è illuminata a festa. Le presenze del sindaco Vincenzo Tozzi, che ha resistito al sopir degli arti per ben tre ore, di Antonio Crecchia che ha cesellato la consistenza morbida dei poemi, di Remo Di Giandomenico, che nell’alzarsi in piedi e chiedere il bis d’applausi in favore della lezione magistrale del prof. Limone, hanno tributato il successo della poesia. La musica di Lino Rufo che ha ripercorso le vie brillanti e spianate del Palazzeschi con note rubricate da Pasolini e Sanguineti, le parole confortanti l’amicizia da parte di Peppe Barra, editore ebolitano fulminato sulla via dei guardioli, l’incipit senza limiti di spazio del decano Vincenzo Di Sabato, hanno decisamente ostacolato la noia e rigettato al mittente la furia ossessiva di una modernità che vede la poesia assestarsi nel limbo del “chi va la”. Un onere combattere la perdizione, un onore poterla domare a suon di versi che nel contesto di Guerre nel Cuore, feriscono la malvagità della vita e si pongono quale medicina di un mondo che cerca ancora la Pace. Chissà se ci sarà tempo per poter pensare, ma la pillola dell’Amore ci permette di porre al cospetto dell’Eternità un arrivederci al 2025.
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