di Giuseppe Zingarelli
Sono trascorsi 28 anni dalla notte in cui la Sindone, per la tradizione cristiana il lenzuolo funerario in cui Giuseppe di Arimatea avvolse il corpo esanime di Gesù nel sepolcro e sul quale si è impressa l’mmagine del Cristo, fu salvata dalle fiamme che divamparono nel Duomo di Torino. L’ architetto Mario Trematore, all’epoca funzionario in servizio presso il Comando dei Vigili del Fuoco della “Città della Mole”, quella notte riuscì miracolosamente a salvare il “Sacro lino” venerato nella Cappella progettata dall’architetto Guarino Guarini. Un frate appartenente all’Ordine Minore della Congregazioni dei Teatini, nato a Modena, che in seguito assunse il titolo di abate. La Sindone, considerata in assoluto la reliquia più conosciuta al mondo, 493 anni fa scampò ad un altro incendio, verificatosi in Francia, a Chambery, nel 1532. Nell’incendio di Torino ingenti furono i danni subiti dalla seicentesca Cappella ideata dal progettista modenese. Uno dei monumenti architettonici in stile barocco più famosi al mondo, realizzata su un maestoso intreccio di archi incrociati siti all’interno della muratura sulla quale venne innalzata la cupola, fu totalmente destabilizzato dalle spaventose lingue di fuoco che lo avvolsero nella sua interezza. Quella notte, nel volgere di qualche minuto, improvvisamente la piazza antistante il Duomo si riempì di mezzi dei Vigili del Fuoco e di autorità cittadine, tra le quali l’allora Sindaco di Torino, il professor Valentino Castellani. Anche il Presidente della Repubblica, all’epoca Oscar Luigi Scalfaro, fu subito informato mentre l’incendio era in atto. il coraggio di un vigile del fuoco guidato da una forza superiore riuscì a salvare il prezioso lenzuolo di lino.
Architetto, in che modo l’incendio dell’aprile 1997 minacciò effettivamente la Sindone?
Occorre subito precisare un dato oggettivo. Nel momento in cui scoppiò l’incendio, la teca d’argento che conteneva la Sacra reliquia non era custodita all’interno del seicentesco altare di Antonio Bertola. Qualche anno prima, nel 1993, la Sindone fu spostata dalla Cappella del Guarini e posta dietro l’altare del Duomo.
Cosa minacciava realmente di distruggere il “Sacro telo”?
Il crollo della cupola. Se la cupola avesse ceduto, tutto il peso della struttura avrebbe investito la teca di vetro antisfondamento all’interno della quale era custodita la teca d’argento che custodiva la Sindone. Il lenzuolo sarebbe stato distrutto, ridotto in cenere e i vigili del fuoco che operavano all’interno della struttura sarebbero morti. Sarebbe stata una tragedia. All’interno della Cappella, al momento dell’incendio, è come se stavano bruciando 8mila litri di gasolio, con una temperatura di circa 800 gradi. Termicamente, l’elevata temperatura causò il distacco di moltissimi materiali marmorei. Conoscevo bene il Duomo. Avevo sostenuto un esame universitario sul Barocco Torinese all’interno di in percorso storico-religioso. Questo mi permise di poter acquisire non solo una più ampia conoscenza della Cappella del Guarini, il suo enorme valore storico e culturale, ma anche di approfondire il valore sacrale che la Sindone, custodita al suo interno, aveva per tutti i cristiani.
*Il crollo della seicentesca cupola sarebbe stato fatale alla Sindone.
Esattamente. La meravigliosa Cappella fu gravemente danneggiata, ma la cupola non crollò. Fu un miracolo.
Lei quella sera dove si trovava?
Ero a casa. Non ero in servizio.
Come ha capito che vi era un incendio nel Duomo?
Mi avvertì mia moglie. Era uscita sul balcone per vedere cosa faceva il nostra cane. Lo avevamo preso al un canile di un piccolo paese in provincia di Torino. Quando lei uscì dal balcone vide una colonna di fumo altissima, molto densa, che si era alzata per centinaia di metri sul cielo di Torino e, spaventata, mi chiamò.
Quale fu la sua reazione?
Telefonai subito al Comando per chiedere cosa stava accadendo e mi dissero che il Duomo era in fiamme.
Cosa fece di preciso?
Ebbi una reazione istintiva, una reazione non certamente razionale.
Dentro di me scattò qualcosa difficile da spiegare a parole, diciamo quasi una percezione soprannaturale. Pensai subito alla Sindone. Sentivo che era in pericolo. Era il simbolo della Cristianità. Qualcosa mi spinse ad andare sul luogo dell’incendio. In quel momento avevo indosso un jeans e una camicia. D’istinto indossai una giacca da montagna rossa. Dissi a mia moglie che uscivo. In auto mi precipitai verso la cattedrale. Parcheggiai la vettura davanti al Palazzo Reale e mi diressi verso il Duomo, dove entrai da una porta laterale. I miei colleghi in quel momento stavano già combattendo duramente per domare lingue di fuoco altissime.
Quando giunse sul posto, quale scenario si presentò ai suoi occhi?
Fu qualcosa di veramente terribile, impressionante. Non potrei mai dimenticarlo semplicemente perchè non ricordo di aver mai visto un incendio così furioso, intenso ed aggressivo. Mi resi conto immediatamente della gravità della situazione.
Cosa decise di fare?
Il vero pericolo era era il crollo della cupola. Mi accorsi che un pilastro della struttura era completamente lesionato. Il pericolo del crollo era reale. La cupola poteva crollarci addosso da un momento all’altro. I colleghi decisero di utilizzare una grossa pinza, tecnicamente un divaricatore della potenza di 12 tonnellate, che si adopera per liberare le persone incastrate nelle lamiere delle auto dopo un incidente stradale, ma il divaricatore scivolava, cioè non faceva presa sulle pareti di vetro poste a protezione della cassa di vetro antisfondamento che proteggevano la Sindone in caso di furto. Era una situazione molto difficile. Chiesi allora ad un collega di andare a prendere una mazza. Me la porse. La presi, la afferrai saldamente tra le mani ed iniziai a colpire il vetro ripetutamente con tutte le mie forze. Percepivo distintamente che quella forza non poteva essere la mia forza. Non potevo essere diventato Maciste in un istante. Non era una forza umana. Un colpo, due colpi, e così via. Ad un tratto la parete di vetro iniziò a lesionarsi, indebolendosi strutturalmente, e con il divaricatore riuscimmo a buttarla giù.
Cosa accadde?
Arrivai alla teca di vetro antisfondamento che conteneva la cassetta all’interno della quale era contenuta la Sindone e, ad ogni singolo colpo inferto al vetro, il vetro iniziò a rompersi, cosicchè quando andò completamente in frantumi prelevai la cassetta che custodiva la sacra reliquia, la caricai sulle mie spalle e mi avviai verso l’uscita principale del Duomo. Ad un certo punto, prima di raggiungere l’uscita ho sentito chiaramente il pianto di un neonato che proveniva dall’interno della cassetta della Sindone. Uscii dalla Cattedrale e consegnai la cassa agli agenti della Polizia, i quali a loro volta la portarono a casa del cardinale Giovanni Saldarini, all’ epoca Arcivescovo di Torino.
La Sindone era stata salvata. Cosa accadde dopo?
Entrai nel Palazzo Reale ad aiutare i colleghi, ancora molto impegnati a domare le fiamme. Mentre mi adoperavo nel far questo, coordinandomi con loro, mi crollò addosso un solaio e rimasi semisepolto sotto una montagna di macerie. Le travi ed altri materiali lignei erano incandescenti. Avvertivo il calore e il crepitare delle fiamme intorno a me. Tuttavia, continuavo a respirare. Ero ancora vivo. Ebbi una strana sensazione. Non sapevo se mi era accaduto qualcosa di grave o cos’altro. I colleghi intervennero prontamente, mi raggiunsero e in qualche modo riuscirono a tirarmi fuori da quella brutta situazione. Gli sarò sempre riconoscente per la loro grande tempestività e generosità. Fui trasportato subito in ospedale. Al Pronto Soccorso effettuarono tutti gli accertamenti. Il medico che mi visitò accuratamente riscontrò che non avevo riportato neanche un graffio. Fu un miracolo che si aggiunse ad un altro miracolo.
Quale?
Durante l’incendio nessun collega perse la vita.
Nel frattempo la notizia del salvataggio della Sindone aveva fatto il giro del mondo.
Si. La notizia si diffuse rapidamente ovunque, in Italia e nel mondo.
Lei ha conosciuto tre Pontefici. Papa Giovanni Paolo II, Papa Benedetto XVI e Papa Francesco.
Tre incontri indimenticabili che sono scritti in modo indelebile nel mio cuore. Quando incontrai Papa Wojtila e mi trovai al suo cospetto, mi accorsi che il volto del Santo Padre era luminoso, come se fosse avvolto da una luce. Avevo la gambe bloccate per l’emozione. Lui se ne accorse e per mettermi a mio agio, allungò la sua mano per salutarmi, ma io mi emozionai ancora di più. Presi la sua mano e quasi non riuscivo a baciarla, baciando l’anello del Pescatore che lui portava al dito. Mi chiamò per nome e mi disse, “Mario, ma cos’hai fatto?”, ed io subito mi allarmai, temendo di aver detto o fatto qualcosa che non gli era piaciuto. Gli risposi, “Santo Padre, non ho fatto niente”, ma lui replicò, “Come non hai fatto niente?”. Gli risposi, “Santo Padre, Gesù entrò in Gerusalemme su un asino ed io non ho fatto null’altro che l’asino che ha portato la Sindone fuori dal Duomo”, e lui, sorridendo, mi rispose, “Le tue mani sono state le mani che ha usato la Provvidenza”. Mi commossi profondamente. Successivamente incontrai Papa Benedetto XVI. Lo incontrai sull’altare di San Pietro. il Santo Padre ascoltò attentamente il racconto del salvataggio del Sacro telo. Poi, alla fine, baciò l’immaginetta della Sindone riprodotta su tela che gli avevo portato in dono. L’ incontro con Papa Ratzinger, che era accompagnato dal suo Segretario, Georg Ganswein, durò più di dieci minuti. Tempo dopo, un mio amico sacerdote mi presentò a Papa Francesco in occasione della giornata in cui il Santo Padre ricevette gli ammalati. Quel giorno ero anche io tra loro perchè ero e sono tuttora affetto da una gravissima malattia. Sono in cura presso il Centro Oncologico di Torino. Quel giorno avevo lo zaino zeppo di rosari, fotografie, libri, immaginette e oggetti vari che molti miei amici mi avevano consegnato giorni prima affinchè io li consegnassi a Papa Francesco per farli benedire da lui. In più dovevo consegnargli anche alcuni doni personali che gli avevo preparato. Raccontai al Santo Padre il salvataggio della Sindone. Lui ascoltò attentamente le mie parole. Poi aprii lo zaino per consegnargli i doni e gli oggetti da benedire e lui, scherzosamente, sorridendo, mi disse, “Mario, ma tu cosa fai? Il traslocatore?”. Al termine dell’incontro, durato circa cinque minuti, donai a Papa Francesco l’immagine della Sindone stampata su tela, dono che lui apprezzò moltissimo.
Lei vive ormai da quasi 50 anni a Torino, ma ha origini pugliesi essendo nato a Foggia. Conobbe personalmente anche Padre Pio da Pietrelcina.
Si. Padre Pio entrò nella mia vita che ero un bambino. Avevo circa 8 anni, frequentavo la seconda elementare a Torremaggiore, un paese in provincia di Foggia. Con la mia mamma, Giuseppina, ci recammo a San Giovanni Rotondo in visita da Padre Pio. La mamma aveva molta fede nel Signore. Era molto devota a Padre Pio. Eravamo 8 figli, una famiglia molto numerosa e molto povera, probabilmente tra le più povere del paese. Poi c’era la mamma, il papà e anche i nostri due nonni. Dormivano tutti in una stanza senza acqua, senza luce e priva di servizi igienici. La mamma con enorme sacrificio portò in dono a Padre Pio e alla fraternità cappuccina una bottiglia contenente due litri di olio, ma lui conoscendo che navigavamo in grandissime difficoltà economiche, disse che l’olio dovevamo tenerlo perchè serviva a noi e non a lui. Ricordo che la mamma mi aveva detto che quando mi sarei trovato al cospetto di Padre Pio dovevo tirargli il cordone del saio, in quanto portava bene. Così feci. Padre Pio se ne accorse e in dialetto beneventano mi disse, “Uagliò, ma che stai facendo?”. Poi mi sorrise, mi accarezzò la testa e avvicinandomi a lui di fianco mi abbracciò e mi disse, “Uagliò, tu farai una cosa grande”. Io non compresi. Non potevo comprendere. Ricordo il suo sorriso radioso. Fu per me il regalo più bello che Padre Pio potesse farmi, un regalo prezioso che custodisco nel mio cuore. Ritornai da Padre Pio cinque anni anno dopo, avevo 13 anni e frequentavo la seconda media, sempre a Torremaggiore. Ci recammo in convento con la scuola, accompagnati da tre insegnanti. Padre Pio mi riconobbe e, ancora sorridendomi, mi disse, “Uagliò, e tu ancora qua stai?”. Un sorriso che ancora oggi, ho 72 anni, non ho mai dimenticato, perchè quel sorriso non si può dimenticare.
Che rapporto ha con Padre Pio?
Avverto spesso nella mia vita la sua presenza accanto a me. Quando salvai la Sindone sentii la presenza di quel sorriso di Padre Pio. Fu anche lui a guidare le mie mani quella notte. Padre Pio sapeva leggere nelle anime della gente, vedeva cose che sfuggivano ai nostri occhi e alle nostre percezioni.
Si reca spesso a San Giovanni Rotondo a fargli visita?
Si. Lo scorso anno, ad agosto, sono stato in convento a fargli visita. Andare da Padre Pio per me è come andare a trovare un grande amico. Padre Pio è lì, sempre pronto ad ascoltarti, aiutarti, sollevarti. È sempre pronto a darti una mano nel non facile percorso di questa nostra esistenza.
Non ti lascia mai tornare a casa a mani vuote, ti dona sempre qualcosa. In quella circostanza incontrai anche la fraternità cappuccina e conobbi il padre superiore, Padre Rinaldo Totaro, una persona umile e molto generosa. Padre Rinaldo è molisano, di Sant’Elia a Pianisi. Parlammo con lui di molte cose, di fede, di San Pio, di religione. Una persona affabile, meravigliosa. Mia moglie del resto è molisana anche lei, nativa di Morrone del Sannio, un piccolo paesino in provincia di Campobasso. La presenza di Padre Pio in Molise si percepisce moltissimo, avendo egli dimorato nei conventi di Venafro, Sant’Elia a Pianisi e Campobasso, città, quest’ultima, alla quale sono molto legato alla stregua di quella in cui sono nato, Foggia. Conobbi in quella occasione anche il dottor Stefano Campanella, Direttore di Padre Pio Tv, il quale mi ha detto molte cose riguardanti la figura del Santo frate di Pietrelcina.
Lei ha fondato anche un associazione benefica.
Si chiama Mandylion Fraternitas. Ha sede in varie città, Torino, Napoli, Bergamo e Bari. È un’associazione regolarmente registrata alla Agenzia delle Entrate. La sua finalità è quella di fare opere di carità. Ci incontriamo tutte le sere, in collegamento web, anche a pregare per i malati e per chiunque ci chieda una intenzione di preghiera, per sè e per il prossimo. Ultimamente abbiamo pregato molto anche per Papa Francesco, il quale per oltre un mese è stato ricoverato al Gemelli. Con l’Associazione abbiamo costruito anche due case da donare alle famiglie povere di Haiti. La presenza dei Padri missionari Camilliani in questo Paese è importantissima, un Paese peraltro non solo molto tormentato da bande criminali, ma anche tra i più poveri al mondo.
La sua lettera scritta al Presidente della Russia, Vladimir Putin.
Si, scrissi nell’ottobre 2024 una lettera al Presidente russo, Vladimir Putin. Un appello alla pace nel mondo. Gli inviai un’icona di San Nicola, un quadro con l’immagine del volto della Sacra Sindone e una maglietta con il logo del Cristogramma con la scritta della comunità ‘Mandylion Fraternitas’. I doni furono da me consegnati all’Ambasciatore russo presso la Santa Sede a Roma, il dottor Ivan Saltonovsky, in quale li consegnò direttamente nelle mani del
Presidente Putin. La Sindone rappresenta un messaggio di pace, perchè Gesù Cristo, e solo lui, è il Signore del tempo e della storia, del presente e del futuro. Lui, e solo Lui, è la nostra pace, e la sua morte ha abbattuto il muro che divideva una porzione di umanità dall’altra. Il nostro compito è vivere la riconciliazione in spirito di fratellanza in un mondo di pace.