E’ l’ennesima segnalazione di un Pronto Soccorso in sottorganico e spesso disorganizzato, dove i nervi tesi fra il personale ospedaliero, che è il primo a subire il disagio della situazione, si manifestano nella loro drammatica quotidianità e la professionalità – o meno – dei singoli rischia davvero di fare la differenza. A sfogarsi dopo due giorni di Pronto Soccorso al Cardarelli di Campobasso è un utente residente in provincia che è stato costretto a portare l’anziano padre, ultraottantenne, presso il nosocomio del capoluogo a seguito di una caduta che gli ha fatto battere la testa, con fuoriuscita di sangue. Non è stata tanto la necessità di una medicazione esterna a spingerlo ad accompagnare il padre in ospedale, quanto il timore che potesse aver subito traumi interni e quindi non visibili. Il primo giorno si è concluso con un intero pomeriggio passato in Pronto Soccorso, terminato in tarda serata – intorno alle 23.30 – dopo le cure del caso e i primi accertamenti. Fino a qui nulla di particolarmente strano, la giornata in ospedale era stata preventivata dai familiari (anche se mancava un ultimo importante “tassello”). A questi ultimi sono stati rilasciati dei documenti con cui si sarebbero dovuti ripresentare la mattina seguente per l’effettuazione della TAC. Alle 10.30 del giorno successivo, quindi, il figlio ha nuovamente accompagnato il padre al Pronto Soccorso dove è iniziata la piccola odissea. Consegnate le carte, l’utente molisano è stato chiamato dopo mezzora da un dipendente, che lo ha informato che l’anziano poteva andare via. Il figlio, perplesso, ha chiarito il qui pro quo, facendo notare che in realtà la TAC non era ancora stata effettuata, quindi i due sono stati messi nuovamente in attesa. Dopo alcune sollecitazioni, intorno alle 12.30 l’anziano, adagiato su una barella, è stato trasferito in Radiologia. Il figlio è stato costretto a seguire un percorso esterno per via delle aggiornate misure di sicurezza. Effettuata la TAC, padre e figlio sono rimasti in attesa dell’esito, ma è stato necessario aspettare fino alle 14, dopo ulteriori sollecitazioni, per avere qualche risposta alla postazione dell’accettazione. Le carte erano ferme lì e nessuno veniva a prendersele. A seguito di una telefonata l’ultraottantenne è stato finalmente ricondotto in Pronto Soccorso dove sarebbero avvenute le dimissioni del paziente dopo la firma del medico. A quel punto il figlio, che ha dovuto nuovamente seguire il percorso esterno, non ha avuto più notizie del padre. Ha iniziato perciò a chiedere informazioni al personale presente, generando in loro persino un senso di irritazione. Dopo due ore, prendendosi la responsabilità delle sue azioni, ha iniziato ad aprire le porte delle stanze in cerca del padre, trovandolo finalmente su un lettino. L’anziano era visibilmente provato e desideroso di andare via, e il figlio avrebbe voluto firmare le dimissioni volontarie ma di fatto gli è stato impedito perché non era possibile, in quanto bisognava aspettare il medico. La fine della seconda giornata al Pronto Soccorso si è conclusa alle 19.30, con la firma dell’esito della TAC da parte del personale medico e delle successive dimissioni. “Non è possibile che ogni giorno in questo ospedale si debbano vivere situazioni come questa, se non peggiori”, lo sfogo. “E’ il caso di dirlo, povero chi ci capita”.
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Tutto ciò non mi è nuovo. Ho frequentato il PS dal mese di maggio per mia madre anziana di 92 anni. E proprio questo è il problema, più volte mi è stato detto dai medici tanto tua madre ha una certa età. Aggiungo che in una visita a mia madre, l’ho trovata senza ossigeno, chiedo al medico la motivazione e la sua risposta è stata “che ne so io”. Ho fatto un riassunto del riassunto, ma ne avrei per scrivere un romanzo horror. Sono arrabbiata molto arrabbiata, mia madre è morta e io dopo tre appuntamenti fissati con il primario, tutti deserti, non so il motivo per cui è morta mia madre. “Basta richiedere la cartella clinica”. Bella risposta.