Gianni De Vivo telefonò – o tentò di contattare – 68 volte il fratello della compagna di Cristian Micatrotta, ossia uno degli altri due giovani presenti al delitto consumatosi la vigilia di Natale del 2021 in via Vico, a Campobasso, prima dell’incontro e della colluttazione che poi degenerò nell’omicidio del 38enne. E’ quanto venuto fuori nell’udienza di oggi 30 marzo davanti alla Corte d’Assise di Campobasso, affermato dal tecnico incaricato all’analisi dei tabulati telefonici relativi ai 4 cellulari sequestrati. I contenuti delle telefonate (almeno di quelle in cui l’interlocutore ha effettivamente risposto) non sono emersi in aula (tecnicamente impossibile se i telefoni non sono sotto intercettazione). Restano i messaggi scambiati via telefono, in cui si parla di un presunto “pacco” fatto a De Vivo, che verosimilmente per gli inquirenti fa riferimento ad una fregatura. Per gli stessi inquirenti, la fregatura si collegherebbe ad una cessione di sostanze stupefacenti anche se non è chiaro a chi sia rivolta l’accusa. Il destinatario delle telefonate, inoltre, chiamato a testimoniare, si è avvalso della facoltà di non rispondere essendo imputato e già condannato con l’abbreviato a dicembre scorso per rissa nell’ambito dello stesso episodio, all’esito di un procedimento parallelo. Il suo avvocato Nicolino Cristofaro ha depositato alcuni pronunciamenti delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione che hanno “esonerato” il giovane dal sottoporsi alle domande delle parti, nonostante il pm Elisa Sabusco intendesse ascoltarlo trattandosi anche di parte offesa (era stato ferito alla mano con lo stesso coltello che ha ucciso Cristian).
L’altro amico presente alla drammatica scena, invece, ha raccontato ai giudici popolari, al pubblico ministero e agli avvocati i momenti precedenti all’episodio e la colluttazione durante la quale Cristian è stato raggiunto dal coltello alla gola, che ha causato la sua morte. Il giovane non ha saputo riferire da dove fosse spuntato il coltello, né immaginava, secondo quanto affermato, un epilogo violento e tanto drammatico. Chiamato ad accompagnare Cristian e il “cognato” di quest’ultimo all’incontro con De Vivo, percependo probabilmente un clima di tensione, avrebbe provato a farli desistere da un confronto a caldo. Una volta giunti con l’auto in via Vico, dove già era presente a piedi De Vivo, i suoi amici sarebbero scesi dalla macchina per un faccia a faccia con l’ex dj. Il tentativo di dialogo sarebbe durato pochi attimi, in breve si sarebbe passati alle spinte, ai pugni, ai calci. Poi la tragedia. Il testimone avrebbe visto solo Cristian estrarsi il coltello dalla ferita, ma prima, ha affermato, non avrebbe notato alcuna arma. “Prendiamo atto di quanto successo oggi – commentano gli avvocati di parte civile, Fabio Albino e Domenico Fiorda (in foto). – Il testimone è venuto a ricostruire la vicenda in maniera dettagliata ed è emerso che il delitto è stato preceduto da telefonate a carattere provocatorio e minaccioso da parte dell’imputato“. Non soddisfatto uno dei due difensori di De Vivo, l’avvocato Mariano Prencipe. Diversi gli elementi emersi che, secondo Prencipe, “sono il sintomo di una serie di indagini non fatte bene“. Ad esempio, il sequestro degli indumenti. Quelli di De Vivo, di Micatrotta e del fratello della compagna del secondo sono rimasti a disposizione degli inquirenti, ma non gli abiti del quarto giovane che oggi ha raccontato la sua versione in aula, nonostante anche il suo telefono sia stato consegnato ai Carabinieri quella notte insieme ai cellulari degli altri tre. Altra curiosità: una giacca indossata da De Vivo quella sera non è stata sequestrata (l’indagato se l’era lasciata addosso dopo essersi cambiato il resto in Caserma), sfuggita agli inquirenti. Dettaglio, questo, segnalato sin dall’inizio dagli avvocati difensori. Inoltre per Prencipe la testimonianza di oggi non sarebbe completamente attendibile. La prossima udienza è prevista per il 28 aprile ore 9.30, nel corso della quale saranno ascoltati il medico legale che ha effettuato l’autopsia e i Carabinieri del Ris.
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