Dopo l’ennesima violenza sessuale in Molise, nello specifico a Termoli, ai danni di una ragazza, la consigliera di Parità della Regione Giuditta Lembo, lancia un nuovo allarme. “L’Istat parla di quasi 11 stupri al giorno, quattromila ogni anno, un vero e drammatico bollettino di guerra. I numeri sono impressionanti – le parole della Lembo. – Secondo l’Istat, un milione e 157mila donne avrebbero subito una violenza sessuale nel corso della vita, tra stupri e tentati stupri. Eppure, nelle denunce degli ultimi anni, si registra una lieve flessione: 6% in meno tra il 2014 e il 2015 e 13% in meno dal novembre 2015 al novembre 2016. Quanto agli autori, in maggioranza sono italiani, ma quasi quattro denunciati su dieci sono stranieri. Gli ultimi dati del Viminale confermano la diminuzione delle denunce per stupro: le violenze sessuali tra gennaio e luglio 2017 sono state 2.333, contro le 2.345 denunciate nello stesso periodo dell’anno scorso. Aumentano tra i denunciati gli italiani: 1.534 nei primi sette mesi del 2017 contro i 1.474 dello stesso periodo del 2016, gli stranieri denunciati per violenza sessuale sono 904 da gennaio a luglio 2017, poco meno dei 909 dello stesso periodo del 2016. A fotografare il fenomeno nel suo complesso aiuta una recente indagine realizzata dall’istituto Demoskopika in cui si legge: “nel corso degli ultimi anni, denunce e arresti hanno interessato in maggioranza gli italiani (61% dei casi), seguiti da romeni (8,6%), marocchini (6%), albanesi (1,9%) e tunisini (1,3%). Anche le vittime sono principalmente donne di nazionalità italiana (68% dei casi), seguite da romene (9,3%) e marocchine (2,7%). E ancora: ogni quattro casi di violenza sessuale in Italia, almeno uno coinvolge un minorenne. La Lombardia e il Lazio detengono il triste record dei territori dove si registrano il maggior numero di violenze”. Il fenomeno d’altra parte – continua la Lembo – è difficilmente fotografabile con chiarezza. Le violenze sessuali denunciate sono infatti solo una piccola parte di quelle davvero compiute. Molte violenze avvengono in famiglia per opera del partner o comunque di una persona conosciuta e parte di esse restano in gran parte nascoste. Le mura domestiche purtroppo rimangono ancora il luogo dove si consumano di più le violenze, spesso rimaste inascoltate. Il 37,6% tra mogli e fidanzate ha riportato ferite o lesioni, il 21,8% soffre di dolori ricorrenti. Indicativo, secondo gli analisti, è lo stato di vessazione psicologica che riguarda ben 4 donne su 10. Ancora meno sappiamo degli stupri di immigrati a danno di donne loro connazionali. La diminuzione delle denunce è stato constatato che non equivale ad una diminuzione del fenomeno ma ad un aumento del sommerso su cui si dovrebbe riflettere seriamente per capire perché una donna non denuncia nonostante quello che negli ultimi anni è stato fatto dalla ratifica della Convenzione di Istanbul alle varie norme nazionali e regionali. Una risposta potrebbe essere che le stesse norme sono molto farraginose, troppo lunghi i tempi processuali che si risolvono spesso con sentenze poco satisfattive e pene che commisurate si rivelano poco certe! Poche le risorse messe in campo e lente le procedure di assegnazione delle stesse. E nel frattempo le donne continuano a subire violenza, la cosa che mi preoccupa e spaventa è quella di vedere qualcuno ormai abituato ad ascoltare o leggere queste notizie rispetto alle quali si limita ad alzare le spalle in segno di rassegnazione. Del resto gli stessi Organismi di parità e pari opportunità preposti alla tutela di questi fenomeni sono sempre più mortificati dalla poca considerazione che si ha degli stessi, a partire dalla esiguità di risorse messe a loro disposizione per ottemperare alle proprie funzioni, a volte addirittura siamo accusati di inerzia e poca incisività da chi probabilmente pensa che basta solo parlare di questi fenomeni per contrastarli mentre non lotta con noi affinchè ci siano dati gli strumenti adeguati per operare. Le pari opportunità sono sempre state considerate soprattutto dal genere maschile, materia destinata ad interessare solo le donne, niente di più errato! Anche il proliferare di tanti Organismi di parità non ha aiutato a migliorare la situazione , anzi ha generato più confusione. Allora, credo sia arrivato il momento di rimettere al centro la dignità della donna attraverso rivendicazioni più incisive e comuni e se dovesse essere necessario anche proteste, pretendere maggiore attenzione attraverso i fatti e non accontentarsi solo delle parole di solidarietà espresse in giornate come quella dell’8 marzo o del 25 novembre! La forza delle donne è lo strumento vincente per mettere al centro il tema dell’eguaglianza di genere, in ogni ambito. Pensare ad un Patto dei Diritti delle Donne in Molise e’ la chiave necessaria per avviare quel cambiamento ben previsto negli obiettivi dell’Europa per il 2020 e del Millennio per il 2030, firmati il 22 aprile in sede ONU a New York e recepiti a livello europeo ma che poco risconto stanno trovando nella realtà. Credo solo quando veramente le donne capiranno che, aspettare ancora, sopportare, subire, arrendersi piuttosto che lottare, pensando che prima o poi qualcosa di buono accadrà, determinerà una qualsivoglia anche loro responsabilità nei confronti in primis della loro condizione disparitaria e di conseguenza verso quella delle future generazioni, solo allora, superando ogni sterile contrapposizione e facendo fronte comune, riusciranno a riappropriarsi del loro giusto ruolo nella società, esercitando pienamente i loro diritti, senza subire continue umiliazioni come le riserve di quote nella rappresentanza, leggi apparentemente volte a loro tutela ma poi non accompagnate da adeguati finanziamenti,etc. E allora – conclude la Consigliera – partire da un Patto tra le donne e per le donne può veramente ridare alle donne un potere contrattuale forte, può consentire alle donne di rimettere al centro quei valori come meritocrazia e competenza e eguaglianza che venendo meno umiliano l’universo femminile”. La Consigliera di Parità Giuditta Lembo è soddisfatta della giornata di studio dal titolo “Politiche di conciliazione e welfare aziendale che si è svolta a Roma lo scorso 13 luglio e che ha visto la presenza del Ministro del Lavoro e delle Politiche sociali Giuliano Poletti, che si è congratulato con lei dopo che la stessa lo ha informato sui contenuti del workshop organizzato presso la sede del Parlamentino della Presidenza della Giunta regionale lo scorso 30 giugno e che ha avuto come temi centrali proprio l’occupazione giovanile e femminile, quest’ultimo tema collegato alla enorme difficoltà delle donne di riuscire a conciliarlo con la vita familiare e con il lavoro di cura. Durante l’incontro, il Ministro ha anche spronato le Regioni e le aziende ad impegnarsi nello sperimentare modelli di lavoro agile e a divulgare eventuali buone prassi che avviino un cambiamento sia nel pubblico che nel privato caratterizzato da una nuova organizzazione del lavoro condivisa da lavoratori e da lavoratrici. In questa direzione va la “Direttiva del Presidente del Consiglio dei Ministri, recante indirizzi per l’attuazione dei commi 1 e 2 dell’articolo 14 della legge 7 agosto 2015, n. 124 e linee guida contenenti regole inerenti all’organizzazione del lavoro finalizzate a promuovere la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti”, approvata lo scorso 1 giugno 2017, in cui è riportato che le Amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, adottino misure organizzative volte a: fissare obiettivi annuali per l’attuazione del telelavoro; sperimentare, anche al fine di tutelare le cure parentali, nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, il cosiddetto lavoro agile o smart working. Le finalità sottese sono quelle dell’introduzione, di nuove modalità di organizzazione del lavoro basate sull’utilizzo della flessibilità lavorativa, sulla valutazione per obiettivi e la rilevazione dei bisogni del personale dipendente, anche alla luce delle esigenze di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. “A questo riguardo – prosegue la Lembo – assumono rilievo le politiche di ciascuna Amministrazione in merito a: valorizzazione delle risorse umane e razionalizzazione delle risorse strumentali disponibili nell’ottica di una maggiore produttività ed efficienza; responsabilizzazione del personale dirigente e non; riprogettazione dello spazio di lavoro; promozione e più ampia diffusione dell’utilizzo delle tecnologie digitali; rafforzamento dei sistemi di misurazione e valutazione delle performance; agevolazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro. Le misure da adottare devono permettere, entro tre anni, ad almeno il 10 per cento dei dipendenti, ove lo richiedano, di avvalersi delle nuove modalità spazio-temporali di svolgimento della prestazione lavorativa, garantendo che i dipendenti che se ne avvalgono non subiscano penalizzazioni ai fini del riconoscimento di professionalità e della progressione di carriera. L’adozione delle misure organizzative e il raggiungimento degli obiettivi descritti costituiscono oggetto di valutazione nell’ambito dei percorsi di misurazione della performance organizzativa e individuale all’interno delle Amministrazioni pubbliche. Le Amministrazioni dovranno verificare l’impatto delle misure organizzative adottate in tema di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro dei dipendenti sull’efficacia e sull’efficienza dell’azione amministrativa, nonché sulla qualità dei servizi erogati. Nel contesto della promozione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro, le Amministrazioni pubbliche, nei limiti delle risorse di bilancio disponibili a legislazione vigente e senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, procedono, a stipulare convenzioni con asili nido e scuole dell’infanzia e a organizzare, anche attraverso accordi con altre Amministrazioni pubbliche, servizi di supporto alla genitorialità, aperti durante i periodi di chiusura scolastica. La Direttiva costituisce un primo passo verso una nuova concezione del rapporto di lavoro che valuta la produttività del lavoratore e della lavoratrice, attraverso un’ organizzazione del lavoro meno rigida e a misura delle esigenze della famiglia. Il mio impegno, in relazione al ruolo che svolgo andrà nella direzione di condividere con le altre Istituzioni preposte all’applicazione della stessa, nonché con tutti gli stakeholder, azioni e progetti che vanno nella direzione dell’applicazione delle Linee guida della stessa Direttiva, nonché nello stimolare anche nelle aziende private la volontà di un cambiamento nell’organizzazione del lavoro che metta al centro il benessere del lavoratore e della lavoratrice coniugato con il successo dell’azienda”.
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