Carcere e lavoro: scontare la pena e, contestualmente, imparare un mestiere, avere la possibilità di professionalizzarsi, occupare in modo produttivo parte della giornata da detenuto per recuperare fiducia in se stesso, negli altri, nelle istituzioni. E’ il concetto di riabilitazione dei carcerati, inteso come riabilitazione sociale lontano quindi da ogni forma di sfruttamento o di lavoro forzato. Rimanere inattivi tra le mura della cella, focalizzando i pensieri esclusivamente su ciò che si sta vivendo, senza alcuna occupazione manuale né intellettuale, certamente non aiuta a riflettere sulla propria esistenza, sui propri valori, sugli errori commessi. “Il non far nulla può addirittura portare ad una cronicizzazione dei modi di pensare, di porsi nei confronti degli altri, di osservare stili di vita scorretti una volta scontata la pena. Svolgere dunque un’attività per un detenuto è senz’altro un beneficio, produce salute mentale – affermano gli psichiatri. – Nel caso contrario l’inattività creerebbe solitudine, emarginazione che potrebbe portare il detenuto, una volta fuori, a ripercorrere strade illegali”. E’ questo il senso della borsa lavoro, istituita da La Molisana, a favore di una detenuta del carcere di Rebibbia. Ed è per questo che l’azienda ha deciso di sposare il progetto di solidarietà “Liberi nell’Arte” , approvato da Papa Francesco e che sarà presentato in occasione del sinodo dei giovani in Vaticano il 6 ottobre. “La Molisana ha apprezzato particolarmente questo progetto sia perché viene divulgato e presentato in occasione del sinodo mondiale dei giovani alla presenza del pontefice, sia perché affronta il delicato tema del reinserimento e dell’integrazione sociale dei detenuti attraverso forme di arte e di lavoro – afferma Rossella Ferro, direttore marketing La Molisana. – Sicuramente si tratta di un processo lungo, che ha i suoi tempi e le sue difficoltà, ma possibile grazie all’aiuto di tante figure professionali esterne. E’ un percorso che inizia dentro il carcere e che può proseguire anche fuori. Ritengo che, grazie alla continuità, si possano poi consolidare e stabilizzare i cambiamenti registrati. Il detenuto ha bisogno di ritrovare fiducia, di trovare la forza di guardare al futuro con rinnovata motivazione, deve quindi vedere la possibilità di lavorare come un aiuto, un investimento che fa su se stesso per recuperare energie psicologiche e investirle per il suo futuro una volta scontata la pena”.
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