Di seguito il messaggio dell’arcivescovo Giancarlo Bregantini in occasione della festa dei lavoratori.
«Siamo già con lo sguardo al primo maggio. Con nel cuore mille evocazioni, personali e sociali. Ma anche tante domande, laceranti e drammatiche. Come quella davanti al NO secco dei lavoratori dell’Alitalia, chiamati a confermare o respingere l’accordo, concordato tra le parti, qualche giorno prima. Mi sono chiesto perché i lavoratori siano arrivati a questo rifiuto? Perché sia stata respinta la bozza di risanamento aziendale? Quali prospettive c’erano nel cuore di chi ha posto il segno negativo nell’urna? Cioè, in fondo, dove oggi si guarda?
Credo che siano domande che ci siamo fatti tutti, interrogativi etici di grosso spessore. In gioco, c’è la capacità di futuro, affaticati come siamo nel mantenere alta la speranza. Perchè infatti il mio personale disagio, aggettivo certo e ben fondato, diventa però un macigno così pesante che mi impedisce di guardare oltre? Quale responsabilità hanno logicamente i sindacati? Ma anche la chiesa, come forza educativa, che non riesce a sostenere prospettive lungimiranti? Nessuno, infatti, si lascia più convincere dalle parole. Siamo tutti cercatori di consistenza. Quante volte ciò che è stato promesso è risuonato come una botte vuota e arrugginita dai ritardi, dalle finzioni, dalle illusioni. La coscienza è sterile quando non è in pace con le sue responsabilità. Quando cioè lascia i suoi doveri appesi al vento. Non è certo casuale rileggere un vecchio proverbio: “Fintanto che non ti preoccupi di mantenere la parola che hai dato, appartieni ad essa nella prigione del tempo”. La gente del nostro Paese geme e soffre le doglie di un parto che non avviene nel mondo del lavoro. Quanti e quanti sono oggi ancora i nostri fratelli e sorelle senza-lavoro. I casi di povertà, di depressione, i suicidi, non sono che i “luoghi circostanti”, i dintorni drammatici alla disoccupazione! Baratro in cui il nostro Paese va piombando sempre più! Per molteplici cause.
Perciò, sento nel cuore mio, di pastore, l’importanza di due cose: tenere alte le prospettive ed educare tenacemente ad esse, soprattutto tramite la scuola e la politica. Don Lorenzo Milani aveva un espressione cocente: sfottere crudelmente non chi cammina in basso, ma chi mira in basso! Camminare in basso è fragilità! Mirare, invece, è ignoranza. E’ il mirare in basso, infatti, che ci rende servi di un immediato che non crea lavoro. Sento infatti come sia chiaro che il lavoro nasce sempre da un cuore che crede. E perciò, spera. E quindi, investe e rischia! E crea così occupazione. Per questo, credo che la questione lavoro debba ritornare sulle lavagne della scuola, sui pulpiti delle chiese, sui tavoli delle nostre riunioni formative. E poi, certo, anche un esame di coscienza, sincero, deve fare ognuno di noi, nel chiedersi se quei pochi soldini che ha in banca, li trattiene egoisticamente oppure li sa investire, con rischio, proprio per dare lavoro? Cioè, a cosa miri? Faccio perciò anche un sempre più accorato appello alle Istituzioni di Governo ad assumere pienamente il coraggio della Politica! Perché ogni persona abbia la dignità del lavoro e il pane necessario per sé e la propria famiglia. La Politica non può essere trasformata in una ritualità di condanna nei confronti delle fasce deboli della società o in polemiche sterili sui salvataggi degli immigrati! La Politica deve tornare ad accordarsi al bene del popolo che essa governa e guida! Non è simbolismo! E’ dovere! La Politica è la “terra benedetta” abitata dalla giustizia, dalla lungimiranza, dalla cura! Non ha il compito di indicare la strada, ma quello di realizzarla! Con scelte lungimiranti soprattutto davanti alle crisi ricorrenti delle nostre aziende. Nazionali e locali! Ciascuno ha il diritto di essere ciò che può diventare, grazie al lavoro! A tutti va riconosciuto questo diritto. Il lavoro ci ricorda il Papa deve essere “libero, creativo, partecipativo e solidale” (EG n. 192). Come deve essere allora il lavoro? Io dico che principalmente deve essere “per tutti”! Ancor più importante è quanto il Papa ha detto in Egitto: “Il bene di ciascuno risiede nel bene di tutti”. Potrebbe essere questo lo slogan per la festa di oggi, per maturare nella nostra società la convinzione salutare che incamminarci nella democrazia significa creare occupazione, come presupposto fondamentale del futuro. Porre cioè il proprio talento per la costruzione del domani! Non trattenerlo nella buca dell’egoismo o della vacuità di parole! Questa è la sfida: educare alla speranza per educare al lavoro, nella risignificazione dell’azione politica. Guardiamo a san Giuseppe lavoratore, come esempio di gratuità, prossimità e fedeltà che ci insegna a fondare la casa, il nostro Paese, come ha fatto lui, cioè sulla solidità della fede e dei valori di giustizia, inclusione, reciprocità e cooperazione, per custodire con amore la famiglia, le città, le nostre terre con tutte le loro ricchezze e risorse. Difenderemo soprattutto il futuro come lui, uomo giusto, con lungimiranza e progettualità, sempre attenti al bene comune e alla trasparenza, per strappare dal cuore dei nostri giovani la tristezza e la paura del domani, restituendo loro fiducia. Le nuove strade occupazionali nascano da coscienze rinnovate che sanno spezzare il pane del presente, lottando perché a nessuno manchi il necessario e la dignità!»