Che fossero rose o quote per un presunto regalo non faceva differenza dal momento che, secondo gli inquirenti, costituivano solo un linguaggio in codice per riferirsi alla cocaina oggetto di spaccio. L’appartamento in cui avveniva il confezionamento dello stupefacente nel quartiere San Giovanni a Campobasso era la base logistica del solidazio finito nel mirino della Procura del capoluogo ma non di rado gli associati agivano in luoghi particolari della città, come il vicino parco o Villa dei Cannoni, e addirittura uno di loro, in qualità di buttafuori, costituiva un valido punto di contatto all’interno dei locali pubblici. Sono alcuni dei dettagli dell’inchiesta antidroga “Drug Market” dei Carabinieri del Nucleo Operativo e Radiomobile che nella mattinata di ieri ha portato all’arresto di undici persone, tre in carcere e otto ai domiciliari, e alla denuncia di altre nove persona a piede libero. I viavai continui presso il “drug market” allestito all’interno dell’abitazione erano certificati tramite mirati appostamenti dei militari che in diverse circostanze hanno fermato i soggetti sospetti in uscita dal portone del palazzo, trovandoli in possesso di dosi di cocaina. Un punto di riferimento per centinaia e centinaia di consumatori e tossicodipendenti, come si evince dallo stralcio di una intercettazione in cui uno dei probabili clienti abituali chiede con insistenza una piccola dose con la promessa di pagare in futuro il debito. “Almeno una venti euro, poi te la ridò, non ce la faccio più, mi sento male, mi devo fare per forza“, “Questo ti posso dare, è un 0.1” (grammi, ndr). Due i nuclei familiari coinvolti, dove anche i più giovani e le donne avevano un ruolo. Grazie a due telecamere nascoste piazzate nell’abitazione gli inquirenti hanno rilevato come l’attività di spaccio fosse costante come un lavoro. San Severo e Caserta erano le mete per il rifornimento, dieci grammi venivano acquistati a 800 euro per essere rivenduti a Campobasso ad oltre 1300 euro. Quando i consumatori si recavano presso l’abitazione spesso salivano per acquistare e ritirare – o farsi preparare al momento – quanto pattuito, a volte le cessioni avvenivano anche tramite una finestra. Le comunicazioni fra associati raramente tradivano l’accordo sul linguaggio da adottare. “A quanto gli hai fatto le rose” “40 euro a mazzo”. In altre circostante gli inquirenti hanno rilevato come ci fossero chiari riferimenti al business legato allo spaccio e discussioni probabilmente sul fatto che qualcuno dei confezionatori avesse “allungato” la coca con altro. “Dice che gli hanno toccato la cocaina, l’hanno mischiata“, afferma uno dei soggetti coinvolti nell’ambito di un colloquio fra due indagati. “Gli ho detto: non la toccare se no non vendi più niente“. Oppure. “Quando io abitavo qui, nove anni fa, io toglievo duecento grammi al giorno. Ma sai quanti sono duecento grammi al giorno? 15000 euro“. Le indagini dei Carabinieri del Norm hanno confermato un preoccupante consumo della cocaina, una volta considerata la droga dei ricchi, e che ha conosciuto un “allargamento” del target per via dei prezzi – seppure maggiori rispetto a stupefacenti come hashish e marijuana – sempre più abbordabili. Intanto, per quanto riguarda i detenuti, dopo una notte passata in carcere, l’ufficio del gip non ha ancora comunicato agli avvocati difensori la data degli interrogatori di garanzia, che per legge devono avvenire entro cinque giorni dall’esecuzione della misura cautelare in carcere ed entro dieci per quella ai domiciliari, e che saranno probabilmente fissati nella giornata di lunedì. “Devo leggere e studiare l’intera ordinanza per capire nel dettaglio come muoverci”, commenta uno degli avvocati difensori, Carmine Verde, che probabilmente punterà innanzitutto a smontare il reato associativo. Una battaglia non certo semplice per la difesa alla luce del numero degli episodi contestati.
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