Non c’è stato neanche il tempo di dare risalto alla brillante operazione antidroga “Pinocchio” che ha smantellato la cellula di spaccio di via Quircio che mercoledì, mentre Procura e Polizia di Stato di Campobasso illustravano i numeri dell’inchiesta alla stampa dalle parti di via Tiberio, due giovani uomini si accasciavano a terra nel pieno centro di Campobasso vittime entrambi di una overdose da stupefacenti. Tossicodipendenti, noti alle forze dell’ordine. Salvati per un soffio dai medici del 118 e da una iniezione di Narcan. Forse una dose tagliata male a monte di quel malore. D’altronde in questo mercato, proprio perché illegale, non c’è manco tutela per il consumatore. Le parole del Procuratore Nicola D’Angelo, che sin dal suo insediamento ha dichiarato guerra alla droga e a quelli che ha definito “venditori di morte”, non sono state casuali: non basta l’azione repressiva, ha detto a margine della conferenza, perchè la domanda resta.
Ed è questo il problema. Decapitato un gruppo criminale, tolto dalla piazza uno spacciatore, se ne farà avanti un altro. E consumatori e tossicodipendenti cercheranno un nuovo fornitore. Non è mancato il plauso della cittadinanza all’operazione che ha messo fuori dai giochi la coppia Amoroso-Mandato, un uomo e una donna legati da una relazione sentimentale, poi finita – e con essa anche l’attività insieme, portata avanti ognuno per proprio conto, – che avrebbero sfruttato, secondo quanto sostenuto dagli inquirenti, anche il figlio di due anni per farsi da scudo nei viaggi di rifornimento, contenuto che ha spinto l’avvocato di Amoroso, Andrea Sellitto, a fare un chiarimento: “Il mio assistito non ha mai portato con sè il bambino. Ho seguito la vicenda dell’affidamento, a lui non può essere attribuita tale condotta“, ha sottolineato il legale, che ha anche rivolto un appello a stampa e opinione pubblica: “Ricordiamo che è ancora un indagato che deve affrontare un processo, non trattiamolo già come un candannato“. Tuttavia resta a monte il problema di questa triste realtà parallela, individuabile non tanto (e non solo) nelle persone raggiunte dalle misure cautelari e negli altri 13 indagati, quanto nei circa 250 consumatori che hanno ruotato attorno a questa cellula. Sta nel gran viavai di giovani davanti al Sert che la mattina vanno ad assicurarsi la loro “benedetta” dose di metadone.
Lo spaccato di questa società spesso è legata a disagi sociali e familiari, a persone che restano senza lavoro o che non hanno un lavoro fisso e una famiglia alle spalle, in un contesto regionale e in un momento storico non facili dal punto di vista occupazionale. E qualora un lavoro riescano pure a trovarlo, rischiano di essere risucchiati in un tunnel che è scavato a metà fra la necessità di guadagno e la calamita della dipendenza. Si arriva persino a sfruttare un beneficio come il reddito di cittadinanza per perseguire lo scopo, come hanno rilevato gli inquirenti nell’operazione “Pinocchio”, con indagati che si facevano monetizzare con la complicità di alcuni commercianti i soldi presenti sulle card destinati all’acquisto dei generi alimentari. L’ambiente in cui si vive, le amicizie che si frequentano possono costituire un fattore determinante per restare al proprio posto o ricadere in un vecchio “vizio”. Se un pusher finisce in carcere per poi uscire dopo qualche mese per essere trasferito ai domiciliari o tornare a piede libero come lo si aiuta? La misura detentiva, che sia cautelare o di espiazione pena, andrebbe forse sempre sostituita con la cura in comunità? Ai commenti di plauso, anche sui social, seguono quelli di cittadini che chiedono pulizia e punizioni severe, puntando il dito contro lo Stato e la Giustizia nel momento in cui un indagato esce dal carcere dopo un periodo relativamente breve, talvolta ignorando il significato di misura cautelare o la reale funzione di un istituto penitenziario.
“Possono apparire dei mostri“, ha detto l’avvocato Sellitto. “Ma dietro possono celarsi anche padri affettuosi“. Padri e madri sciagurati, che cedono a debolezze umane, trasformandole in un vantaggio economico ma a danno della propria salute e di quella di altre persone. Ecco perché al fianco dell’azione repressiva delle forze dell’ordine sarebbe necessario un rafforzamento di istituzioni e organi competenti nel recupero dei tossicodipendenti, in programmi avazati di cura e reintegrazione sociale. Organi che possano lavorare anche al fianco della scuola, presenti sia nelle campagne di prevenzione che nelle attività di preventivo recupero al fine di salvare giovanissimi che già rischiano di incamminarsi sulla strada della tossicodipendenza. E’ nell’età adolescenziale che spesso si verifica l’approccio alla prima canna, prendendo confidenza con hashish e marijuana, per poi passare pian piano a droghe più pesanti e pericolose. Le inchieste degli ultimi anni hanno mostrato come siano presenti molti minori fra gli acquirenti di stupefacenti e in passato qualcuno di loro è rimasto coinvolto nell’attività di spaccio. Ma la storia del consumo di droga, a Campobasso, non è tutta fatta di disagi sociali. In una società in cui al “piacere” di provare si uniscono ritmi di vita sempre più frenetici, in cui persino un professionista potrebbe sentire il bisogno di un “aiutino”, i ceti sociali interessati dal consumo di stupefacenti anche in questa città sono diversi. E finchè la domanda resta, e resta alta, ci sarà sempre qualche pusher a soddisfarla.
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