L’autofagia (dal Greco “mangiare sé stessi”) è uno dei più importanti meccanismi attraverso i quali le cellule si rinnovano, eliminando e riciclando componenti non più funzionanti. Una ricerca dell’I.R.C.C.S. Neuromed di Pozzilli, svolta in collaborazione con l’Università Sapienza di Roma, mostra che un cattivo funzionamento di questo processo porta a un netto aumento del rischio di ictus nei modelli animali di ipertensione arteriosa. Rischio che può essere fortemente ridotto riattivando l’autofagia attraverso molecole sperimentali. Lo studio, pubblicato sulla rivista scientifica Autophagy, è stato eseguito su ratti spontaneamente ipertesi predisposti allo sviluppo di ictus, denominati SHRSP. Quando questi ratti venivano sottoposti a una dieta ricca di sale, si è potuto osservare che l’efficienza dei processi autofagici diminuiva sensibilmente, sia nelle cellule cerebrali che in quelle endoteliali (che rivestono la parete interna dei vasi sanguigni). Questo fenomeno era inoltre direttamente correlato alla riduzione dell’espressione del gene ndufc2, implicato nella costituzione di un componente fondamentale dei mitocondri (gli organelli cellulari destinati alla produzione di energia). “In pratica – dicono Sebastiano Sciarretta e Giacomo Frati, Dipartimento di Angiocardioneurologia Neuromed e Dipartimento di Scienze e Biotecnologie Medico-Chirurgiche, Facoltà di Farmacia e Medicina dell’Università Sapienza – le cellule dei ratti SHRSP sottoposti a una dieta ricca di sale non sono più capaci di smaltire le loro componenti vecchie o degradate, soprattutto i mitocondri danneggiati. Questo è uno dei meccanismi che espone gli animali ad un’altissima probabilità di essere colpiti da ictus. Ma una volta avviato il trattamento con una molecola sperimentale, capace di riattivare i processi autofagici, il rischio viene notevolmente diminuito”. “Questo studio – aggiungono Speranza Rubattu e Massimo Volpe, del Dipartimento di Angiocardioneurologia Neuromed e Dipartimento di Medicina Clinica e Molecolare, Facoltà di Medicina e Psicologia dell’Università Sapienza – rappresenta una importante conferma delle nostre ricerche precedenti sul gene Ndufc2, nelle quali avevamo stabilito che una ridotta espressione di quel gene è correlata a un aumento di rischio per ictus cerebrale. Oltre a gettare una luce importante sulle basi genetiche dell’ictus, lo studio mostra che le disfunzioni mitocondriali giocano un ruolo cruciale nelle patologie cerebrovascolari e la loro correzione diventa un’arma terapeutica importante contro l’ictus”. Lo studio ha notevoli implicazioni cliniche dato il frequente riscontro di una riduzione dell’espression del gene ndufc2 nella popolazione generale, ed infatti questo aspetto viene indagato anche nella ricerca attuale. Una strada innovativa per il trattamento di pazienti ad alto rischio di ictus potrebbe quindi aprirsi grazie alla riattivazione dei processi autofagici, con nuovi farmaci, ma anche attraverso l’uso di sostanze di origine naturale.
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