Il trattato che istituisce la Comunità economica europea (TCEE) è il trattato internazionale che ha istituito la CEE. È stato firmato il 25 marzo 1957 insieme al trattato che istituisce la Comunità europea dell’energia atomica (TCEEA); insieme, sono detti “Trattati di Roma”. Insieme al trattato che istituisce la Comunità europea del carbone e dell’acciaio, ovvero la CECA, firmato a Parigi il 18 aprile del 1951, i Trattati di Roma rappresentano il momento costitutivo della Comunità europea.
I presidenti delle Province di Campobasso e Isernia, Battista e Coia. “È unità la parola d’ordine, il filo conduttore, il sentiero da seguire per rafforzare la nostra identità, la nostra appartenenza all’Europa. Europa che ha saputo trasformarsi, che è stata Comunità Europea prima e Unione Europea dopo. Europa che in questi sessant’anni ha rappresentato il terreno d’incontro di diverse civiltà e popolazioni, che ha contribuito a costruire la pace in Paesi per troppi anni segnati da lunghe e sanguinose guerre. Europa e spirito europeistico messi a dura prova, ma che oggi più che mai dobbiamo salvaguardare, tutelare, rafforzare per garantire quella crescita che fa del nostro continente un grande continente. Un’Europa fatta anche di contraddizioni, di diversità, come accade pure in ogni grande famiglia, ma fatta soprattutto di arricchimento reciproco e di reciproco sostegno. Una voglia di unità che deve essere più forte di ogni disegno scissionista, che deve prevalere sulla volontà di chi guarda all’Europa con l’intento di annientare quanto sottoscritto quel 25 marzo del 1957. Dobbiamo continuare a credere nella forza dei Trattati di Roma che hanno dato un futuro a tante realtà lontane dal cuore pulsante del vecchio continente. In un momento così delicato non possiamo prestare il fianco a chi non crede in questo progetto o a chi vuole renderlo zoppo. Come amministratori e come politici crediamo negli obiettivi dell’Europa unita e siamo convinti che per raggiungerli, prima e meglio, occorra lavorare quotidianamente, superare gli ostacoli ideologici, evitare ogni forma di spaccatura favorendo invece un necessario rilancio che permetterà di guardare con più serenità al panorama mondiale. Uniti si è più forti. Restando insieme si riusciranno a superare ostacoli altrimenti insormontabili. Se si vuole immaginare l’Europa del futuro occorre accantonare logiche populiste e quel nazionalismo che non fa bene a nessuno. Dobbiamo lottare contro chi vuole alzare muri, contro chi non facilita il percorso di pace, di libertà, di accoglienza. Dobbiamo favorire la condivisione e accrescere il senso di responsabilità verso chi in Europa ci vive da sempre ma anche verso chi in Europa vuole cominciare a viverci. Dobbiamo provare a sconfiggere le paure e i timori di una piaga come il terrorismo che continua a dilagare e a colpire senza sosta. Una piaga che si può combattere solo adottando una politica di cooperazione che deve vedere tutti gli stati membri in prima fila. Politica di cooperazione che deve essere alla base di ogni scelta perché sarebbe impensabile ragionare nel chiuso dei confini nazionali senza tener conto delle esigenze di altre realtà. Ecco perché ai Capi di Stato e di Governo, che si incontreranno a Roma, chiediamo di sottoscrivere un impegno per rilanciare e completare quell’Europa sociale, culturale ed economica in cui noi crediamo fermamente. È questo il vero significato di un anniversario che deve vederci marciare tutti insieme per un cambiamento possibile”.
L’eurodeputato molisano Aldo Patriciello. “Oggi più che mai è necessario parlare di Europa. Non soltanto per ricordare con orgoglio il percorso storico, economico e politico ideato e costruito con tenacia da uomini come De Gasperi, Monnet, Adenauer e Schumann, solo per citarne alcuni. È necessario parlare di Europa anche perché mai come ora si avverte l’esigenza di recuperare lo spirito ed il coraggio che consentirono ad un continente uscito distrutto da due conflitti mondiali di avviare un percorso di integrazione politica ed economica con l’obiettivo finale di bandire la guerra tra Stati membri. E in effetti, coinvolti come siamo dalle vicende dell’attualità politica di tutti i giorni, tendiamo a dimenticare ciò che rappresenta la vera essenza del nostro stare insieme e cioè che l’Unione tra gli Stati nazionali europei è garanzia di pace. Una pace che dura da oltre settant’anni. Nella prima metà del secolo scorso – tanto per dare un’idea – gli Stati nazionali europei hanno scatenato due guerre mondiali che hanno causato oltre 70 milioni di morti. È questo, dunque, l’obiettivo che i sei Paesi fondatori della Comunità Economica Europea si imposero di raggiungere sessanta anni orsono. Una scommessa senz’altro ardua ma rivelatasi vincente: tutta la storia europea – dalla seconda metà del secolo scorso fino ai giorni nostri – si è piegata intorno a questa idea rivoluzionaria. Credo tuttavia che il miglior modo per celebrare degnamente l’anniversario della firma dei Trattati di Roma, sia quello di non scadere nella facile quanto inutile retorica, nella consapevolezza che dinanzi ai molteplici problemi e alle numerose difficoltà del momento, meglio far emergere con onestà gli ostacoli che si frappongono sulla strada di una maggiore integrazione piuttosto che nascondere la polvere sotto il tappeto. L’Europa pensata e costruita nel 1957 non può reggere le sfide di un mondo sempre più globale e interconnesso. Ma soluzione non può essere un’Unione ripiegata su se stessa o, peggio ancora, divisa e spogliata delle sue principali funzioni istituzionali. Il cambiamento è tale se riesce ad innovare, accrescendole, le opportunità di unione e non di divisione. Ciò che è mancato fino ad ora, dunque, è il coraggio di andare oltre l’interesse dei singoli Stati nazionali. Sono i governi dei Paesi membri che in questi decenni hanno impedito alle istituzioni europee di avere tutta la forza e la legittimazione di cui un’Unione ha bisogno per far funzionare al meglio le cose. Solo per citare un esempio di stringente attualità, dinanzi ad un’Europa che chiede maggiore solidarietà e la divisione in quote dei richiedenti asilo, gli Stati membri hanno preferito rinchiudersi dietro un assurdo diniego, edificando persino anacronistici muri. Prendersela dunque con l’Europa in quanto tale, come se non fosse l’espressione della volontà degli Stati che la compongono, è un grave errore. Con i suoi problemi e le sue difficoltà, l’integrazione europea rimane tutt’oggi una storia di condivisione di esperienze, valori e principi comuni, all’interno dei quali ciascuno è libero di esprimere al meglio la propria identità nazionale. L’Europa non ci chiede di accettare il corso degli eventi come una realtà immutabile. Essa è la nostra scelta giornaliera: un “plebiscito quotidiano” attraverso il quale decidiamo di legarci ad essa. Di legarci gli uni agli altri in un destino comune. È questo, in definitiva, il senso di quella firma che oggi ci apprestiamo a celebrare”.