17 marzo 1861 – 17 marzo 2021: 160 anni dall’Unità d’Italia. Una data storica per la nostra Nazione, riconosciuta, dalla Legge n° 222 del 23 novembre 2012, quale “Giornata dell’Unità nazionale, della Costituzione, dell’inno e della bandiera, allo scopo di ricordare e promuovere, nell’ambito di una didattica diffusa, i valori di cittadinanza, fondamento di una positiva convivenza civile, nonché di riaffermare e di consolidare l’identità nazionale attraverso il ricordo e la memoria civica”. Il 17 marzo è una giornata da festeggiare, ma anche di riflessione, sottolinea il presidente della Provincia di Campobasso, Francesco Roberti. “L’Unità d’Italia arrivò al termine di un complesso processo in cui confluirono iniziative politiche e militari, visioni differenti (rivoluzionarie e democratiche), ma alla fine tutti questi elementi confluirono nella volontà di voler essere tutti italiani, riunendosi sotto un’unica bandiera, quel Tricolore che durante la pandemia più volte abbiamo visto sventolare dai balconi di tanti cittadini. Fu un processo a cui si dedicarono tutti: dai semplici cittadini ai politici che scrissero la storia del Risorgimento. Basta rileggere le parole di Goffredo Mameli: “Noi siamo da secoli Calpesti, derisi, Perché non siam popolo, Perché siam divisi” e “Avanti! Viva Italia, Viva la gran risorta!”, per comprendere come l’unità nazionale fu un’esigenza, nonché una prerogativa per porre le basi di una grande Nazione. Oggi più che mai dobbiamo restare uniti. Stiamo attraversando, ormai da un anno, momenti difficilissimi. Ci siamo resi conto di come, soprattutto in determinate circostanze, sia fondamentale sentirsi uniti attorno ai valori costituzionali e orgogliosi di una Nazione. Nel 160° anno dall’Unità d’Italia mi sento di rivolgere un pensiero a tutti coloro, davvero tanti nei rispettivi ruoli, che da 12 mesi stanno lavorando per fronteggiare l’emergenza sanitaria con spirito di sacrificio e abnegazione, con coraggio e altruismo. È anche per loro che dobbiamo sentirci orgogliosi di essere italiani”.
In occasione del 160° anniversario della proclamazione dell’Unità d’Italia, il presidente del Consiglio regionale Salvatore Micone ha dichiarato:
“Sono trascorsi 160 anni dall’Unità della nazione italiana e dalla creazione di uno stato nazionale libero e indipendente. L’unità della penisola fu la conclusione di un percorso storico, politico, culturale e militare molto lungo, che vide l’impegno, a vario titolo e modo, delle forze più vive delle società dei diversi stati in cui era diviso lo stivale, ma anche di progetti e strategie internazionali. Molto si è scritto sul Risorgimento e su quanto di quelle idee realmente trovò compimento nel regno d’Italia prima, e nella Repubblica italiana poi. Il dibattito storico-culturale resta ancora aperto su come, in che misura e in quanto tempo lo Stato nazionale, nei suoi 160 anni di vita, sia riuscito a soddisfare il primo dei suoi bisogni, come ebbe a sostenere Massimo D’Azeglio: “formare italiani dotati d’alti e forti caratteri”. Ma è innegabile che nel secolo e mezzo trascorso, questo Paese posto al centro del Mediterraneo ha saputo svolgere un ruolo fondamentale nel progresso dell’Europa e nel suo sempre aperto dialogo con le vicine Africa e medioriente, e in generale con il resto del mondo. Molti, di diversa estrazione sociale e culturale, di differente credo religioso e politico, sono stati, in questi lunghi e difficili anni della storia dell’umanità, gli italiani dotati di “alti e forti caratteri” che nei momenti più duri e drammatici della nazione (nelle guerre mondiali, nel fronteggiare epidemie, terremoti, crisi economiche e sociali), ma anche in quelli più esaltanti e pregevoli (relativi a scoperte scientifiche, produzioni letterarie e artistiche, eventi sportivi e conseguimenti di traguardi nella valutazione della conquista del benessere sociale ed economico complessivo dei vari strati della popolazione) si sono presentati alla ribalta, facendo la differenza e indicando a tutti un esempio da seguire e la via da percorrere. Possiamo, guardando indietro, fare nostre ancora oggi le parole di Francesco Saverio Nitti, grande meridionalista e uomo di stato, che commemorando i primi 40 anni di vita dello stato italiani volle ricordare come “da tre secoli a questa parte mai l’Italia è stata ciò che è ora: in quarant’anni (160 anni, possiamo dire noi oggi) di unità, di questa unità che con le sue ingiustizie è sempre il nostro più grande bene, in quarant’anni (160 anni, possiamo dire noi oggi) di unità, noi abbiamo realizzato progressi immensi. Noi non eravamo nulla e noi siamo molto più ricchi, molto più colti, molto migliori dei nostri padri”. Senza indulgere in retorici trionfalismi possiamo e dobbiamo riconoscere che realmente, dopo 160 anni, pur con tanti problemi non risolti e molti nodi mai sciolti, questo nostro Paese ha consentito a tutti noi di essere al passo con gli stati più avanzati del mondo, ci ha permesso di essere all’altezza della millenaria cultura che viene da quella fucina di civiltà che fu l’impero romano e dalla quella immensa ricchezza spirituale che fu il Medioevo, cui seguì la calda e lunga estate dell’arte che fu il Rinascimento. Lo stesso Paese che ci consente di avere oggi una sanità che non lasci nessuno privo di cure qualunque sia il suo ceto sociale, un sistema politico pluralista e una democrazia compiuta. E tutto questo lo abbiamo avuto testimoniato, pur con le molte inefficienze e incongruenze, proprio in questo momento di pandemia, nel quale il Paese ha saputo trovare negli ospedali, nei servizi pubblici, di protezione civile e di forze dell’ordine, nei commercianti, negli autotrasportatori, nei Sindaci e nel grande e variegato mondo del volontariato, tantissimi italiani di “alto e forte carattere” che ci hanno aiutato ad affrontare questa difficile prova. A questi va un grazie per quello che hanno saputo fare e ancora faranno per tutti gli italiani. Ma va anche un grazie e una deferente riconoscenza a tutti coloro i quali, in questi lunghi 160 anni, hanno gettato le basi sociali, valoriali, culturali, spirituali, religiose e operative per creare una società capace di sviluppare una civiltà evoluta in cui gli italiani di alto e forte carattere potessero nascere, formarsi e agire. Ritroviamo, dunque, in questo giorno, la forza e la determinazione di gridare insieme, come fratelli di una sola nazione che vuole reagire all’ennesima prova che il destino le ha posto innanzi, i versi del giovane Goffredo Mameli che compongono il “canto degli italiani”: Uniamoci, amiamoci, l’unione e l’amore rivelano ai popoli le vie del Signore”.